ILCONTUTO Ciafaloni, è vero che l'individuo morente è solo, in quanto privato di una ritualità costitutiva di senso; ma non bisognerebbe dimenticare che egli è anche in compagnia di una macchina, di un apparato medico dotato della sua ritualità autonoma e impersonale. L'assenza di riferimenti ai rapporti dell'uomo con la tecnologia e al potere tecnologico sui corpi nel commento di Ciafaloni mi sembra rivelatrice, e getta luce sul'interpretazione generale da lui data del libro di Barcellona. Per restare al caso della medicina, vorrei portare due esempi che mi sembrano decisivie tali da fare dell'invasività del discorso tecnico-scientifico un mutamento a mio parere epocale. Il primo è quello delle attività di screening (diagnosi precoce). Non so quanti al di fuori di un ristretto ambiente scientifico - abbiano riflettuto sul fatto che in questo caso è il sistema sanitario ad "andare verso" l'individuo - fino a quel momento apparentemente sano - e non viceversa; quali sono le nuove implicazioni etiche di questo fatto? E ancora: proprio per reclutare individui che si sentono bene, il diagnosta precoce ha bisogno di farsi propagandista (si veda tutta la pubblicità intorno alla diagnosi precoce dei tumori). In questo e in molti altri casi è la tecnologia - con il rituale connesso - a definire i confini e i rapporti tra fisiologico e patologico. Si noti che l'efficacia - in termini di prolungamento dell'attesa di vita - di molte pratiche di diagnosi precoce non è affatto dimostrata, prospettando un sistema che si autoalimenta ma che ha almeno in parte perduto il suo scopo - come è la medicina tecnologica dei paesi occidentali. Di tutto ciò si potrebbe dare l'interpretazione che dava Maccacaro vent'anni fa: la "medicalizzazione della politica" - ovvero la riconduzione a un sistema di risposte mediche di bisogni essenzialmente politici - sarebbe null'altro che una reazione del capitale all'intensificarsi della lotta di classe. Oggi questa interpretazione mi sembra non tenere più. Il mutamento è tale ecosì pervasivo da superare i confini di una guerra di posizione tra due classi sociali. Il secondo esempio - molto rapidamente - è quello della cosiddetta "filosofia del rischio". Di fronte alla incertezze scientifiche circa gli effetti sulla salute delle sostanze chimiche introdotte nell'ambiente, è ormai dominante l'atteggiamento di fissare dei limiti accettabili di esposizione basati sul fatto che il numero di morti o di malattie indotte da dosi inferiori è "trascurabile" (es. 3 casi di cancro in più all'anno negli USA per ogni cancerogeno). Il principio che qui si intro26 DAI LETTORI duce e che costituisce - di nuovo - una novità rispetto al passato è quello di dare legittimità scientifica al concetto di "destino": quei 3 casi di cancro sono così pochi che sembrano "colpire a caso". L'accettabilità dell'esposizione viene proprio giocata sul vantaggio derivante "alla società" da una certa produzione industriale di contro a quell' "accidente" costituito da un numero limitato di vittime. Al di là del fatto che - con tutta verosomiglianza - quelle vittime non sono vittime del caso o del destino ma piuttosto della loro individuale suscettibilità ai danni indotti dall'esposizione, il principio etico che viene apparentemente accettato è il sacrificio di alcuni nel nome dei benefici derivanti all'intera società. Anche qui una certa invasività del discorso scientifico e dei suoi rituali è palese: il nuovo destino, inappellabile, è costituito dalla statistica, come Musi! aveva visto già molti decenni fa. C'è un aspetto comune ai due esempi, oltre alla pervasivitàdel discorso scientifico, ed è costituito da ruolo del Soggetto. Mi pare che la vera novità stia nel fatto che, oggi, nessuna singola persona può abbracciare da sola non dico l'intero costrutto delle teorie scientifiche, ma neanche una parte molto limitata di esso. Che cosa significa il fatto che, oggi, il Soggetto sia - tanto teoreticamente che nei fatti - più debole del sistema scientifico-tecnologico? Che cosa significa che, in molti campi, la ritualità tecnologica si è sostituita alla ritualità antropologica? Il tentativo di risposta a queste due domande costituisceun unico problema: proprio il fatto che il Soggetto - a differenza dal passato - non possa controllare nel suo insieme il sistema di principi e di credenze che purtuttavia dà origine al rituale fa sì che quest'ultimo si autonomizzi e fatalmente prenda il sopravvento. STUFIDI ARBORE Sergio C. Ferroni (Taormina) Diciamocelo francamente: ormai tutti sospettiamo di Arbore. Ancora pochi e perfidi cominciammo a sospettare in casa Agnelli, ne sospettammo in crociera, ne sospettammo alla voce "Barilla (noto marchio di fantasia) Boogie Band". Oggi quei pochi e perfidi ne sono certi, mentre voialtri cominciate a sospettare. E per forza! Sorvolate pure sul cosciame dozzinale, sorvolate pure sugli addobbi da "festicciola sul ponte C", sorvolate pure (ma già un po' più radenti) sul clima "che bello beccare i soldi facendo i cretini"; - se ci riuscite sorvolate pure sul patologico tormentone di doppi sensi fi e fecali. Ma riuscite ancora a sorvolare se riflettere che questo passa - anche tramite, purtroppo, "autorevoli" notisti - per critica "al modo di fare televisione?", che i vari refrain che si sentono al bar, in treno, in ufficio, che i vari "chiamo io no chiami tu" "piesse" e via di seguito, pur passando per scherno al consumismo spottistico non seguono - e si pascono - altro che della pestifera inclinazione di una nazione al comunicare a via di slogan? E i redazionali a buon mercato col diversivo del finto cacao? Cosa sono se non vera, ortodossa pubblicità neanche tanto subliminale fatta a un vero prodotto? E allora? E allora saremo scemi, o forse non saremo tutti Baudrillard, ma questa critica alla televisione da dentro la televisione ci ricorda tanto la critica allo stato fatta da dentro - anzi, dalle spalle - dello stato. Non è parodia: la maschera, ogni tanto, se mai ce ne fosse bisogno, il parodista la alza per disilludere chi se ne fosse abituato confondendola col modello da parodiare, ed è quello che .fanno, per esempio a "Drive In", cosciati e beceri pure loro; mentre la maschera della fessaggine è così ben calcata sui lineamenti del Nostro, che ormai non se ne distinguono più né i bordi né il materiale. Un po' la sindrome dell'eco all'eco: la vecchia storia di quelle spie doppie e triple che alla fine non sanno più per chi lavorare; ma che comunque, tra schizofrenia e pretestuosità, spremono un po' tutti. Non tutti. Un po'. Perché va bene tutto quello che volete: costringere all'intelligenza è elitario, almeno si ride, c'è aria di canne, ecc.: ma dentro "Indietro Tutta" non c'è una, dico una cosa che non sia idiota: intendiamoci, personalmente trovo irresistibile la comicità di Cerruti, e mi piace il bertoldismo di Frassica, tutta roba che non è certo geniale-: ma non si può fare un intero programma di sole idiozie, né solo le idiozie fanno ridere. Come non fanno ridere quei poveri, vagolanti quarti di carne assoldati come pubblico, il cui unico desiderio - a dimostrazione di quanto platonico sia l'attentato al media - sembra essere unicamente quello di trovare una telecamera a favore (invano, oltrettutto, perché la tetragona assistente di regia non inquadra altri che Lui, soprattutto - chissà perché - in controscena). Mentre il Nostro con la sua faccia da Stewart Granger preSecam, si bea alle fregnacce che gli vanno saettando intorno.
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