Linea d'ombra - anno VI - n. 25 - marzo 1988

I NUMERI stessi e poi agli altri. Nella loro ribellione fisica e carnale, essi risultano obbligati a seguire i propri principi come aggrappati a un destino inevitabile. Da Scannasurice a Bordello di mare con città il linguaggio di Moscato è sempre più stratificato, retto da una forza che proviene dal dolore, dall'impossibilità di armonia e redenzione, da una consapevolezzache comunque spingealla ricerca. Così anche in Pièce noir, favola nera messa in scena quest'anno da Cherif e interpretata da Marisa Fabbri, ambientata nei quartieri spagnoli di Napoli, luogo del degrado e della prostituzione ma anche della contaminazione, luogo di transito degli americani. Qui una donna alleva travestiti nell'impossibile tentativo di costruire un figlio esemplare, un androgino che ripeta i tratti del suo tempo, con la volontà di ricostruire il campione originario di un sé che si va disfacendo. Ma il cantiere di Moscato sembra inesauribile. A marzo si vedrà Scanna play surece più altri due testi che saranno messi in scena dai Teatri Uniti di Napoli, Partitura con la regia di Toni Servilio e Little Peach con la regia di Antonio Neiwiller. Quest'ultimo è la storia di un "povera madonna" che inventa vite immaginarie e avventure da diva per nascondersi le pochezzee miseriedella vera vita. Moscato continua con l'accelerazionedel poeta a ricercaree sperimentare forme diverseper costruire un suo teatro, fatto di corpi feriti e anime dannate, che trovano forza proprio dal p1.1rgatoriodella loro esistenza, un "purgatorio" come quello delle edicole napoletane, di corpi avvolti nelle fiamme ma che guardano ispirati al cielo Moscato, però, guarda piuttosto verso il basso. SUHRABAL E"LINEAD'OMBRA" Antonio D'Orrico ("L'Europeo", n.6,5/II/1988) Ottimo optional per uno scrittore avere a che fare con Praga. Forse per questo Bohumil Hrabal, 73 anni, scrittore cecoslovacco (nella foto), autore di Una solitudine troppo tumorosa (Einaudi) riscuote un certo successo di stima, e ora anche di vendite, in Italia. Il libro racconta di un operaio che si è fatto una cultura grazie al suo lavoro (mandare al macero libri). È, insomma, un racconto metaforico. Hrabal piacevaad AngeloMaria Ripellino e piace molto oggi in ambienti neopuritani, post-cattolici,sirnilmarxistie propoveristici (look rivista Linea d'Ombra e dinMUSICA torni). Hrabal ha fatto mille lavori (ferroviere, comparsa teatrale, commesso viaggiatore, assicuratore, ecc.) e, infatti, si respira nei suoi libri un clima dopolavoristico, tra improvvisazione e buona volontà. CHIHAPAURA DIPOGORELICH Alessandro Baricco Spiace tornare a parlare di pianismo, ma ci sono costretto: perché ho sentito Pogorelich. L'ho sentito a Torino: godendomi, all'uscita, musicofili e abbonati vari bofonchiare, smoccolare e declinare sdegno e irrisione. Perfino qualche fischio, in sala: cosa rara per una sala da concerto, che non essendo un teatro d'opera non prevede, per atavica vocazione, il gusto dello sberleffo. C'è da dire, e va detto, che sul palcoscenico Pogorelich ce la mette tutta per risultare irritante, odioso e in definitiva insopportabile. Tanto per dire: lui neanche si alza, tra un brano e l'altro, a ricevere gli applausi. Neanche si disturba a gettare uno sguardo alla platea per far capir<;che sì, li sente gli applausi, ma preferisce non scomodarsi e restare seduto: No: lui se ne sta a fissare la tastiera e a sciogliersi le mani, aspettando che finisca quello spiacevole schiamazzo. Dal pianoforte si alza, per strascicarsi elegantemente in camerino, solo in occasione dell'intervallo e alla fine del concerto. Anche lì, comunque, inutile aspettarsi grandi convenevoli: appoggiato al pianoforte si volta, finalmente, verso il pubblico e abbozza un sorrisino che dev'essersi studiato per anni davanti allo specchio, tanto è esattamente ambiguo, prodigiosamente in bilico fra la gratitudine di dovere e il disgusto per tutta quella cerimonia. Alla fine, eccezionalmente, torna sulla scena per ripetere l'ambiguo ringraziamento e poi, smisuratamente annoiato, risparisce, e questa volta per sempre, nel senso che un bis che è un bis non lo fa, nemmeno Per Elisa, sparisce e basta. Insomma: è naturale che venga da mandarlo in mona. E tuttavia: vale la pena non fermarsi alla superficie e ragionar di Pogorelich dimenticando questo suo modo da schifo di fare l'uomo di spettacolo e pensando al suo pianismo: che è puro genio. Nei confronti del pubblico funziona, a dirla senza mezzi termini, come una specie di aerosol: gli cava fuori i catarri ideologici. Con un'efficacia che non ha attualmente ILCONTUTO paragoni, mette a nudo le tare mentali del popolo degli abbonati: culturalmente parlando, lo mette in mutande. Perché quando Pogorelich suona la 111 di Beethoven, faccio un esempio, l'abbonato finisce talmente spiazzato che neppure più conserva la tradizionale compostezza, e non riesce a non sbottare e a non sacramentare, e finalmente se ne esce con quella frase, che non potrebbe essere diversa, che è la frase d'obbligo, garrula bandiera dell'ovvietà: "Ma quello non è Beethoven!". Eccolo lì: giù le braghe. Intendiamoci: in effetti quello non è Beethoven. Pogorelich estorce al testo di tutto, lo rivolta, lo violen_tae lo piega con dispotica determinazione. Di fondo, usa uno stratagemma che, in sé, è perfino elementare: esaspera tutto. Dove è piano lui fa pianissimo, dove il tempo è lento lui rallenta fino all'immobilità: lo sforzato diventa una frusta, il rubato stritola il fraseggio, il ritmo diventa ossessione. A tutto ciò aggiunge una fantasia timbrica che sa immaginare ciò che altri neppure si sognano, con alcuni tormentoni affascinanti: la predilezione per il registro più grave (dove riesce, letteralmente, a fare di tutto) o il gusto per i salti mozzafiato di volume. Ultimo ingrediente, una tecnica straordinaria: che vuol dire mai una sbavatura o un imbarazzo, come se tra intenzioni e gesto manuale non esistessero intercapedini di sorta. 21

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==