una doppia falsità: egli sa benissimo, innanzitutto, che il suo libro viene letto anche da chi ignora tutto della critica kafkiana, per cui una ripetizione, magari per cenni sommari, non sarebbe stata affatto inutile; in secondo luogo vi sono altri aspetti, altrettanto noti, su cui invece Citati si sofferma: il fatto che Kafka scrivesse di notte, le sue relazioni con Felice e con Milena, la sua tubercolosi. È evidente che a Citati interessava ripetere solo alcune cose e non altre. Gli interessava, più precisamente, far giganteggiare la figura isolata di Kafka, contrapporre il genio individuale e la sua psicologia all'elaborazione culturale collettiva su cui il genio stesso si basa: siamo di fronte insomma a una programmatica messa tra parentesi del contesto, che permette a Citati di ricondurre in toto il suo personaggio ali' archetipo letterario del Genio romantico-decadente, e il rappresentarlo secondo i più vulgati clichés che a esso si riferiscono. La descrizione psicofisica di Kafka che troviamo nelle primissime pagine del libro è emblematica: "Sorrideva come un angelo meticoloso e leggero; e il suo sorriso era l'ultimo fiore nato da una gentilezza che si donava e si tirava subito indietro". (pag. 7); "Non diceva mai nulla di insignificante: tutto ciò che è quotidiano gli restava estraneo, oppure veniva trasfigurato nella luce del suo mondo interiore". (pag. 8); "Aveva una compitezza cinese, che nasceva dall'estenuazione del cuore e da una quasi irraggiungibile raffinatezza dello spirito". (pag. 10). Abbondanza di metafore e di aggettivi, insistenza sul cuore e sullo spirito: nel suo desiderio di elezione stilistica Citati raggiunge talore esiti involontariamente comici; per dire che Kafka era vegetariano scrive infatti: "Mentre gli altri mangiavano carne ... lui rovesciava sulla tavola la ricca cornucopia della natura". (pag. 12). Naturalmente abbondano i superlativi e i paragoni nobilitanti con grandi e grandissimi del passato: Kafka è "il più spirituale degli uomini", la sua concezione dell'ispirazione poetica è "la più grandiosa dopo Platone e Goethe", Gregor Samsa è "l'ultimo e il più grande degli eroi flaubertiani", eccetera. Anche nelle pagine più propriamente critiche Citati sceglie la via più facile: considerando le opere kafkiane delle vere e proprie parabole, egli si sente autorizzato a darne innanzitutto una lettura simbolico-allegorica, procedendo secondo due modalità fondamentali. La prima consiste nel ricondurre personaggi e situazioni kafkiane a personaggi e Pietro Citati. situazioni archetipiche già note al lettore: il protagonista del Castello "è la combinazione di Faust e di Ulisse nel cuore del nostro secolo" (pag. 250); il villaggio è "l'ultimo lembo della terra di Canaan" (pag. 231); Barnaba è paragonato ad Ermes per la "leggerezza" e per la sua funzione di messaggero degli dei; e così via. Si tratta molto spesso di paragoni convincenti e che è importante rilevare; ma Citati si limita a individuare le analogie senza approfondire i significati, i valori che questi personaggi e situazioni assumono nell'opera di Kafka. Le sue osservazioni restano perciò a un livello piuttosto superficiaie, nella misura in cui non indicano nessun elemento specifico che caratterizzi l'impiego di questo materiale nell'opera kafkiana piuttosto che in quella di un qualsiasi altro autore. La seconda modalità secondo cui procede il discorso di Citati consiste nel formulare ipotesi, accondiscendendo all'istinto del lettore ingenuo che desidera sapere "cosa succede dopo" e "perché è successo così" anche quando l'autore non lo racconta: "Non ci è difficile immaginare la sua infanzia (di Kart Rossman). È stato un figlio obbediente e amoroso, devoto e diligentissimo, un Isacco". (pag. 81); "Possiamo immaginare quanto deve essere stata tremenda, per Kart, la sera nella quale gli venne comunicato che sarebbe stato cacciato dalla famiglia". (pag. 84); "Ci chiediamo che cosa ILCONTUTO sarebbe accaduto se sino alla fine Kart avese adottato come padre il fochista". (pag. 85); "Frieda è veramente perduta?" (pag. 259); "Non sappiamo come K. trascorra gli ultimi giorni. Forse da Gerstacker, come guardiano di cavalli? O forse ancora più in basso, nell'ultimo sottosuolo del divino?" (pag. 273). A questo punto bisogna osservare che i maggiori motivi di interesse del libro di Citati risiedono nel suo essere un best-seller, caso più unico che raro trattandosi di un saggio di critica letteraria. Questo fatto merita alcune considerazioni ulteriori. I lettori di questo libro sono senza dubbio da ricercarsi (salve le eccezioni che, com' è noto, non invalidano la regola) tra i lettori di Kafka, che già rappresentano una fascia intellettualizzata del pubblico di massa. Ma in realtà i lettori di Citati costituiscono un'ulteriore élite, all'interno di questa fascia intellettualizzata, in quanto sono lettori che, pur non avendo probabilmente gli strumenti per affrontare dei testi specialistici, sentono il bisogno di approfondire criticamente le loro letture. A questo pubblico di massa ma colto, Citati offre un prodotto in linea con le tendenze prevalenti nella cultura e nella letteratura, anche giovane, di questi ultimi anni: dal ritorno alla poesia "ore rotundo", al narcisismo istrionico di un Busi, agli atteggiamenti da tenebroso byronico di un De Carlo, si è assistito in quest'ultimo decennio a una ripresa generale di posizioni neoromantiche e neoindividualiste, di cui il rinato interesse per il genere biografico è sintomo non secondario. Nel libro di Citati l'esagerata attenzione per gli aspetti psicologici e la deliberata omissione di quelli culturali in senso lato si accompagnano a un fondo di irrazionalismo semplicistico e abbastanza gratuito e alla riproposta sostanzialmente acritica dei miti del genio e dell'ispirazione. Citati insomma tenta la via della suggestione, non dell'analisi e il suo libro si arena su una duplice impasse. Da un lato infatti resta da giustificare l'emblematicità dell'opera kafkiana: il nostro interesse verso l'uomo Kafka è determinato dall'interesse verso le sue opere, ma Citati, riconducendo queste ultime a fattori esclusivamente individuali, le rende sostanzialmente gratuite e insignificanti. D'altro canto la posizione di Citati esclude la possibilità di un giudizio, dal momento che esso deve essere sempre formulato all'interno di un contesto culturale e storico determinato. 19
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==