Linea d'ombra - anno VI - n. 25 - marzo 1988

DISCUSSIONE/MORANTE altri, che si riducono al suicidio e alla droga. Davanti a questo tragico fenomeno collettivo, di cui nella Storia non si ricorda l'uguale, gli adulti di tutto il mondo deplorano, denunciano, si scandalizzano, reprimono; ma se cercassero, piuttosto, di capire, arriverebbero invece a domandarsi se questa fuga disperata non sia dovuta, forse, al fatto, che loro, gli adulti, oggi consegnano ai bambini un mondo inabitabile. Adulti nel linguaggio della Morante va inteso specialmente nel senso di éoloro che esercitano il potere ("di qualsiasi potere si tratti" - essa ha precisato nella prima edizione di questo libro - "sia esso finanziario, o ideologico, o militare, o famigliare, o di qualsiasi altra fqrma, origine o pretesto"). E in realtà, secondo la sua opinione, la sostanziale indifferenza degli adulti di fronte alla tragedia giovanile contemporanea, risponde a un loro interesse preciso, anche se in parte inconscio: difatti la fuga dalla vita di tanti probabili avversari del potere conviene troppo al potere stesso perché questo si risolva a combattere il fenomeno con le armi giuste della responsabilità e della conoscenza. L'esercizio del potere è un vizio degradante, che rende ciechi alla realtà (La canzone degli F.P. e degli I.M.). Gli adulti, dediti a tale vizio, sembra non si accorgano che, oggi, quella che loro edificano con tanto fragore è la fabbrica della morte. E con questa parola la Morante non intende solo la morte fisica, la quale potrebbe rivelarsi, alla fine, nient'altro che uno spettacolo illusorio dei sensi, atti per natura agli inganni; ma la morte reale (quella che oggi, con parziale eufemismo, viene detta alienazione). Alla tragedia propria, da sempre, della sorte umana (coscienza stretta nelle dimensioni dello spazio e del tempo) si aggiunge oggi un rischio collettivo e totale 12 nuovo nella storia: il quale minaccia, prima ancora che la sopravvivenza fisica, le ragioni valide a giustificare questa sopravvivenza. Ora, questo malessere estremo sembra avvertito più naturalmente dai ragazzi, i quali aprono i loro occhi, non ancora viziati dal potere, su un mondo degradato. La poesia di Elsa Morante, è, ovviamente, di una terribile attualità. Però, grazie al cielo, l'attualità di libri come questo non si presta a essere consumata all'istante come merce. Secondo l'autrice medesima, i suoi veri lettori saranno quelli che, oggi, non sanno ancora leggere. In quanto ai critici, in genere hanno fatto "orecchi da mercante" come ha scritto Pasolini in una sua lunga critica-poesia dedicata a questo libro. Fra quelli che ne hanno scritto, ne scegliamo qui alcuni, i quali ne hanno dato diverse letture a seconda dei loro diversi punti di riferimento. Carlo Bo ("Corriere della Sera") l'ha riguardato anzitutto come atto di sovvertimento anarchico: "Qualcosa per molti anni deve aver colpito il nervo centrale della sua passione vitale perché oggi la scrittrice senta di dover contravvenire a tutta la condizione dell'uomo[ ... ]. La Morante delle poesie non ha nulla a che fare con quella che è la linea della lirica moderna, anche se saltano immediatamente agli occhi richiami, aperti riferimenti, aperti fino a toccare il margine della provocazione. Ma la contraddizione apparente va spiegata con la globalità dell'operazione che è - vale la pena di ripeterlo - scatenata da uno spirito di profonda anarchia. Non ci sono, e pertanto sembra inutile cercarli, termini che consentano dei recuperi culturali: il suo no cancella tutto il suo passato e nello stesso tempo annulla qualsiasi spazio che non appartenga in qualche modo già al mondo del silenzio. La stessa immagine, la stessa poetica del "ragazzino" dipendono da una frattura con il resto del mondo organizzato, rispettando invece con una sorta di religione l'idea della vita così com'è e così come la società fa di tutto per corrompere o ridurre o addirittura spegnere". Piero Dallamano ("Paese Sera") lo ha descritto come un "itinerario di ricerca" verso il sovrasensibile e il centro religioso dell'esistenza: "[ ... ] in certo modo, il libro appare come il taccuino apparentemente disperso in cui si consegnano le tappe di un viaggio e la sua risposta, a livelli diversi. Allucinazioni e deliri già alterano i confini dell'individualità ben precisa; il poeta è uomo e donna, si identifica con Edipo, che ha gli occhi piagati ed è morente (non già nel bosco sereno in cui cantano gli usignoli, presso a Colono; ma in un ospizio di pazzi), gli si spalanca di dentro l'essenza vera dell'universo [... ]. L'esistere, il mondo, gli esseri sono come una specie di ruota che ripropone senza tempo le stesse vicende[ ... ]. Il mondo, l'esistere, la morte, il dolore 'tutto questo / in sostanza è verità I non è nient'altro / che un gioco'. Ovviamente, in questa conclusione, così radicalmente lontana dalle misure che si legano al tempo e alla storia, il lettore deve scoprire quale risonanza, complessità, ampiezza di armonici e di significati contiene questa parola cara ai ragazzini e ai poeti: gioco". Goffredo Fofi ("Quaderni Piacentini") si sofferma in

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