DISCUSSIONll•OPI Ciò che più impressiona in tutto questo è il ruolo svolto dai capicordata, a volte - come si è visto - persone un tempo di talento. Con maggior ritardo che in altri campi, anch'essi sembrano essersi accorti che: la vita è breve, il futuro assai incerto (per tutti, per il mondo), e meglio una gallina oggi che niente domani. Tutto questo non scandalizzerebbe poi troppo, non fosse che avviene sotto varie coperture ideologiche, con il richiamo a grandi messaggi e nomi ed idee, con il velo magari di una signorile raffinatezza in certuni/certune, e che, nel momento stesso in cui questo cinismo ci viene imposto, ci si fa anche la predica, la morale, da parte di alcuni; e si ditiramba di qualità supreme che sarebbero rintracciabili in testi ahinoi meschinissimi da parte di altri. Prosperano, i capicordata, sulla e della moltitudine degli aspiranti artisti - mai così vasta. Ci siamo accorti da tempo, facendo questa rivista, di quanto fosse imponente per esempio la schiera degli scriventi, e quanto mediocre, interessata quasi sempre soltanto all'esplicazione del proprio narcisismo e alla sete di una pur piccola fama. L'impressìone è stata verificata da altri, che però ne hanno fatto motivo del loro successo: e pensiamo a certe testate che hanno scoperto essere i loro lettori per i tre quarti aspiranti scrittori, e fanno di tutto per compiacerli. Il mondo piace com'è a tanti che vi ci si trovano bene, ma ecco che la spinta all'affermazione da parte di tanti, fuori da progetti comuni, in qualche modo elevati, collettivi, al di sopra degli interessi immediati del singolo e dei suoi simi10 · ·li, porta a una sovrabbondanza di volgarità, alla perdita di senso di ogrti discussione su qualità e valore, alla difendibilità di quafsiasi opzione non di rottura, e infine a quella arroganza del tutti contro tutti che va oltre le alleanze che, probabilmente, sono solo provvisorie e transitorie, e anche oltre le leadership, utilitaristiche, intercambiabili. Vale dunque la pena di dichiararsi sempre più coscientemente fuori gioco, di non accettare lo status quo dei poteri, di fare banda a parte, e di mirare il più possibile in alto: non nel senso di ciò che rassicura, ma di ciò che conta e vale rischiando se necessario impopolarità e isolamento. Vale la pena di andare a trovarsi il proprio pubblico altrove che tra addetti ai lavori, letterati e aspiranti tali (insomma, di non incoraggiarne i vizi e vezzi), di esercitare fino in fondo il diritto che una rivista ha alla selezione del meglio, anche tra i suoi lettori, di stimolare riflessionee dibattito su ciò che sta a monte ma che è in realtà l'unico "primo piano" degno e possibile, di seminare dissidenza e scontentezza ma unitamente chiarificazione e responsabilizzazione, di proporre confronti e collegamenti sul fondamentale e non sul superfluo dei media. Siamo certi che, in giro, c'è molta più gente insoddisfatta - benché isolata e perciò pigra - di quanto non si immagini, e che essa si trova per l'appunto non nei luoghi canonici in cui potrebbe venire in mente a una rivista "politica" di cercarli (per es. nell'ex movimento, neanche nei suoi residuati organizzati) o a una "culturale" (per esempio, tra gli "scriventi"), ma altrove, nelle minoranze di minoranze, nei margini della provincia, nei meandri dello sfacelo e di istituzioni tra i molti stanchi di essere imboniti e menati per il naso dai bonzi dell'ufficialità, ecc. ecc. E tra coloro soprattutto, che ancora pensano possibile e auspicabile una loro partecipazione a qualcosa di più che alla, magari dorata, sopravvivenza da zombi dimidiati e parcellizzati,coloro che sono consci della propria natura di "mezzeseghe" quanto lo siamo noi che facciamo la rivista, ma che per l'appunto non la negano e di questo sanno farsi una forza: per osare superarla in direzione di una ricerca di ragionamento e solidarietà oltre ogni "particulare". Il contributo che una rivista può dare a questa impresa è piccolo, ma non spregevole. Per certi aspetti può anche essere entusiasmante, purché si sappia chiedere il massimo alle proprie forze, e mantenersi vigili nei confronti di tutto, e soprattutto della tentazione dei riconoscimenti, dei piccoli successi che chiedono grandi compromessi. Il "tradimento dei chierici" descritto da Benda negli anni trenta non è mai stato così impressionante e generalizzato come oggi; resta sempre un tradimento nei confronti della ricerca della verità, ma non certo perché i chierici si impegnano troppo nella storia: perché ci si impegnano troppo poco. Il problema, insomma, è quale pegno; e quello di oggi non può che essere massimo, nei confronti della sopravvivenza dell'umanità e del mantenimento, in essa, di una dignità che la ricchezza degli sviluppati e la miseria degli altri stanno distruggendo con spaventevole rapidità.
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