DISCUSSIONI/MASI Foto di Sergio Ferrarla. si identifica ripetutamente lo stesso sindacato col "lavoro organizzato": senza cogliere la reciproca incompatibilità delle due definizioni. E trascurando il fatto che se il sindacalista è un professionista, un tecnico che mette la sua specifica competenza al servizio dei lavoratori organizzati (così come, per esempio, l'avvocato o il consulente fiscale mettono la loro competenza a disposizione dei clienti), questo implica automaticamente la non attribuzione al sindacalista di alcun potere decisionale. Invece Manghi rivendica per il sindacato (identificato non con i lavoratori ma con i vari strati di sindacalisti: anche in forma esplicita e articolata, per esempio nella parte II, cap. 4, p. 131-134) un potere politico che può legittimamente appartenere solo ai lavoratori organizzati. Di qui l'equivoco: di potere politico in questi termini ovviamente non parla mai. La "caduta dei valori" viene comunemente associata alle "spinte corporative", che muoverebbero tutti i lavoratori che si propongono la difesa in prima persona dei propri interessi specifici, scavalcando il sindacato e rifiutandogli la delega. Mi sembra che anche qui il luogo comune sia dominato dall'equivoco, non casuale. Il nostro paese ha conosciuto il corporativismo nella forma fascista. La tesi fascista era la seguente: "Esistono interessi generali del paese [a quel tempo si diceva 'della nazione'], preminenti rispetto agli interessi delle singole categorie. Le concezioni basate sulla lotta di classe, invece, antepongono gli interessi delle classi (rappresentate dalle rispettive organizzazioni) a quelli generali del paese. Noi (fascisti) promuoviamo un'organizzazione delle diverse categorie in termini non reciprocamente conflittuali - almeno non conflittuali oltre il limite al di là del quale sarebbero lesi gli interessi generali nazionali. Ciascuna categoria difenda i propri intere·ssi, in forma organizzata, subordinatamente al rispetto di interessi e fini superiori, che ci accomunano tutti". Va aggiul).tOche il sistema economico scelto dal fascismo come atto a favorire lo sviluppo degli interessi nazionali generali era quello capitalistico. A una più energica difesa di tale sistema mirava la correzione apportata dal fascimo alla teoria liberale, col porre un forte accento sugli interessi generali comuni (capitalistici), quando il solo rispetto della leggeparve troppo poco di fronte al premere della lotta di classe. Secondo la teoria della lotta di classe, quelli che vengono presentati come interessi generali nazionali (o del paese) non sono affatto generali ma di parte, e precisamente della parte padronale: infatti coincidono col sostegno al sistema capitalistico, di cui detta parte padronale beneficia a danno dei lavoratori, in particolare degli operai. L'unione solidale di tutti gli operai, non solo all'interno dei singoli paesi ma anche in campo internazionale, fondava una sfera nuova di interessi generali e comuni, alternativa a quella proposta dal capitalismo e mistificata come nazionale. Nel corso della storia del movimento operaio l'unione solidale si estese, dapprima nell'alleanza con i contadini non proprietari, quindi con i lavoratori in generale, quindi con le 8 popolazioni dei paesi colonizzati ed ex-colonizzati (borghesie "nazionali" incluse), e infine - nei fronti popolari e derivati - a tutti i cittadini di buona volontà promotori degli interessi nazionali (patriottici) in direzione anticapitalistica. L'estensione sempre più larga della sfera solidale alternativa per un verso coincideva col progressivo rafforzamento del movimento operaio, e con la candidatura della classe operaia a classe dirigente in luogo della borghesia capitalistica (e capace pertanto di rappresentare in termini più larghi e autentici della borghesia stessa gli interessi di larghi strati di popolazione, dentro e fuori dei confini nazionali). Per un altro verso, coincideva pure con la subalternità crescente dei dirigenti operai ai gruppi politici che - in rappresentanza della classe operaia - si erano impadroniti del potere statale (Partito comunista dell'Unione Sovietica) e, durante la guerra antinazista e antifascista, col progressivo attenuarsi dei contenuti di classe (alternativi al capitalismo) nei programmi delle stesse organizzazioni operaie - politiche e sindacali. Il movimento degli anni sessanta e settanta, in polemica con questa evoluzione, ripropose fra l'altro i contenuti a/- ternativi al sistema capitalistico come base della solidarietà popolare. In questi termini, la solidarietà non poteva includere la totalità della popolazione, né far riferimento a interessi generali indiscriminatamente comuni a tutti. Erano esclusi gli interessi capitalistici: quelli cioè di tutti coloro che, direttamente o indirettamente, per condizione oggettiva o per scelta soggettiva, patrocinavano la continuazione e lo sviluppo del modo di produzione capitalistico. La seconda metà degli anni settanta ha segnato non solo la sconfitta del movimento alternativo, ma il declino dell'ipotesi alternativa anticapitalistica, che per oltre un secolo era stata alla base della solidarietà operaia e anche della solidarietà degli operai con gli altri strati sociali a cui ho accennato sopra. Il paradosso (apparente e per nulla nuovo nella storia) sta nel fatto che le organizzazioni politiche e sindacali operaie (sarebbe il caso di dire: già operaie) sopravvivono, nella sfera del potere politico e dei gruppi di pressione, al tramonto delle motivazioni per le quali si erano costituite e avevano agito per un intero periodo storico. Non solo, ma sopravvivono senza render pubblico, a giustificare la propria sopravvivenza, nessun insieme di contenuti e di fini nuovi, sia rispetto al proprio passato, sia rispetto alle pratiche e alle ideologie del capitalismo oggi vincenti. A queste ultime esse
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==