Linea d'ombra - anno VI - n. 24 - febbraio 1988

DISCUSSIONE Freetown, Sierra Leone (Foto Murray Lee/Unicef/ Associated Press 1987). libagioni, due straordinari aperitivi sociali quali la guerra nel Golfo Persico e la fame in Etiopia. E non è da poco, come ci hanno ricordato visivamente le pagine glassate e rassicuranti del (nostro) benes_seree dell'altrui miseria sui pre-natalizi "Venerdì" di "Repubblica" e "Sette Giorni" del "Corriere della Sera", esorcizzare la non troppo lontana Grande Fame degli italiani con una collettiva grande bouffe il cui immancabile, e cattolicissimo, rigurgito colpevolizzante veniva via via indotto e poi lenito da quelle pagine a colori similvere sui corpi ricoperti di sabbia di Shatt el-Arab, le torme di bambini scheletrici appesi a larve di madri del Tigré, le masse cenciose affamate ideologizzate di un destino terzomondista che ci era stato provvidenzialmente evitato e che occorreva allontanare sempre più. Così i messaggi solo apparentemente contraddittori della Grande Fame e della Grande Abbuffata venivano riproposti con particolare pervicacia da riviste e televisione, creatori d'opinione e presentatori televisivi in testa. La "irresistibile leggerezza del Natale", per dirla con Alberoni, proprio in questo consiste: lo "spendi e spandi" natalizio si coniuga con la Missione di Bontà di "Fantastico"; il ricordo o la riproposta della fame stimola e riconcilia la bouffe nostrana; il grande caldo seno prosperoso di Serena Grandi, cui sono simbolicamente appesi i pensieri erotico-mammisti del maschio italiano, può essere tranquillamente accostato a quello smunto rinsecchito della giovane-vecchia donna etiopica senza nome con in braccio un figlio scheletrico proprio perché entrambi lontani, entrambe immagini da sfogliare tra una redarne di preservativi e una foto di Amnesty, oleografie dell'inconscio collettivo in cerca di sensazioni "forti" su cui eccitarsi o commuoversi. È il "grande rito di riconciliazione" cui ci invita il sociologo del "Corriere" ma in un altro senso, direi opposto: non già quel suo "mi occupo di te, mi prendo cura di te, perdona se durante l'anno ti ho trascurato", che suona un tantino eccessivo anche .in periodo natalizio, né tantomeno - scherziamo? - quel "periodo in cui avviene la distinzione tra essenziale e non essenziale" ma il suo esatto opposto: così la Procter & Gamble alla ricerca di spazi commerciali e di un nuovo "look" si inventa la vecchia buona azione quotidiana e coniuga il fustino Dash con la "missione di bontà", aumentando in due mesi il lOOJodei profitti e inducendo un'indelebile immagine di generosità non sospetta e di celentaniana filantropia nel cuore degli italiani; così Dash non dà acqua e scuole agli africani di Kisangvani ma soprattutto surclassa Dixan e Festival di Canale 5 come immagine, così come Celentano surclassa Baudo non perché sia più bravo ma perché ci fa sentire più buoni. In questo modo il grande rito di riconciliazione ricongiunge il non ricongiungibile e provvidenzialmente riconcilia fame e profitto, bontà e trascuratezza, essenziale ed effimero. Su tutto sovrasta il grande immaginario, così rassicurato da immagini "forti" perché lontane, così rassicurante perché condito di opposti desideri e paure, entrambi innocui per6 ché esorcizzati, entrambi distanti perché così a portata di mano, e di vista, come il seno di Serena o lo spettro della fame etiopica. Per eccitarsi, appunto, o commuoversi, e tirar dritto verso il cenone di capodanno. NATALE (CONADORNOECONAIELLO} A ''LAREPUBBLICA'' Alfonso Berardinelli "Siamo tutti sulla stessa barca" (W. Wenders e P. Handke) In occasione del Santo Natale, un umore malinconico e riflessivo ha invaso chissà perché le pagine dell'inserto culturale di "Repubblica". Già il titolo dell'insieme induce a pensare: "Il passato che ci aspetta". Chissà che vorrà dire, se pure vuole dire qualcosa. Il progresso si ferma? Il futuro ci farà tornare indietro? Sembra di sentire la voce di Theodor Adorno, il filosofo tedesco, il profeta di sventure, il grande accusatore della cultura di massa, l'intellettuale sinceramente apocalittico che gli intellettuali di "Repubblica" non riescono a digerire. .Come lettori di questo giornale pensavamo tutti che il passato fosse passato e che nel futuro ci fosse solo il bel futuro di un'Italia sempre più moderna. Invece, dopo tante prediche contro i pessimisti e contro chiunque venga visitato di tanto in tanto dall'impressione che la cosiddetta cultura critica di sinistra sia diventata, en masse, una sinistra carica-

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