Linea d'ombra - anno VI - n. 24 - febbraio 1988

SAGGI/LA PORTA Nonostante tutta l'enfasi sull'esperienza ordinaria, impura e banale, la filosofia sembra rivolgersi principalmente a se stessa, alla propria superficie uniforme e lucente. In una recensione di Rovatti a Rella (o viceversa) si parlava con tono quasi profetico di "transizione verso un altro tempo, in cui sia possibile agire secondo un ethos che sia altro, atipico rispetto al sapere-potere che ha determinato la scena della filosofia occidentale". Ma questo nuovo ethos da cosa sarebbe preparato o annunciato? Da una divinazione dei Filosofi? Davvero basta una presa di coscienza filosofica perché si realizzino relazioni armoniche e simmetriche tra gli uomini?. Forse la riflessione etico-filosofica va cercata oggi nei luoghi più imprevedibili, lontano comunque dalle sedi deputate, istituzionali. Alla larga dai filosofi Non si tratta di un'affermazione stravagante o demagogica, se pensiamo che questo tipo di riflessione ha oggi più che mai bisogno di descrizioni empiriche, di rappresentazioni vivide e attendibili, di conoscenza pratica, di immaginazione antroµologica e sociologica. Ai fini del ragionamento morale, scrive il filosofo Hilary Putnam, "l'immaginazione di modi di vita, o di aspetti particolari di modi di vita, è enormemente importante" (cfr. Veritàe etica, Il Saggiatore 1982). Ma chi è capace attualmente di questa immaginazione? Sappiamo che "il discorso morale si esemplifica nel racconto" (Giulio Preti), che insomma la letteratura si limita a mostrare ciò che vuole sia approvato o disapprovato, senza giudicarlo direttamente. Ma la letteratura contemporanea non ci mostra granché. Probabilmente la meditazione morale più appassionata, più intensa, si può oggi trovare in certe pagine saggistiche, di saggistica libera, rapsodica, o in pochi libri di critica letteraria. Christopher Lasch osservava che gli intellettuali, trasformati in esperti, sono di fatto tagliati fuori "da qualunque tipo di discorso pubblico". Con conseguenze particolarmente gravi proprio sul pensiero etico, che ha a che fare in modo diretto con la comunità. Il che non riguarda ovviamente soltanto il presente. Dagli inizi di quella che si suole chiamare "modernità" l'intera cultura sembra essere sempre meno dimensione obbligante, coinvolgente, con una sua effettiva influenza (pensiamo alla tesi che svolge Edgard Wind a proposito dell'arte). I filosofi continueranno insomma ari~ petere per proprio conto che "Dio è morto", mentre la gente continuerà a credere in qualcosa, a battersi per questo, a fare scelte, a prendere decisioni (senza che nessuno capisca perché ciò avvenga, o almeno tenti di capirlo). Certo in Italia sembra accadere esattamente il contrario di quanto afferma Lasch: da noi anzi i cosiddetti esperti sentenziano su tutto a ruota libera. Ma in realtà si tratta solo - dei piccoli divi, delle star, dei monumenti nazionali. E comunque perfino in loro si avverte a tratti un disagio, una sorta di nostalgia verso la "vita reale", sempre evocata ma sfuggente come un'allucinazione. 62 Una conseguenza vistosa di questa drammatica esclusione è la sciagurata tendenza degli intellettuali a credere di superare isolamento e separatezza idealizzando movimenti o soggetti sociali. Il che naturalmente avviene a vari livelli e con diversi esiti. Così l'antica immagine della classe operaia "rude razza pagana" è sembrata prima continuare nella figura dell' "operaio sociale", nomade e desiderante, per incarnarsi recentemente perfino nell' "immenso esercito di tamarri turbolenti e ansiosi di gran vita" che, chissà perché, dovrebbero salvarci. Si continua periodicamente a proiettare sulle classi emarginate un certo quoziente di nichilismomorale, con finalità liberatrici (ma questo rimane un problema aperto di psicopatologia degli intellettuali). Croda Su un punto concordano più o meno tutti: l'etica deve tornare a occuparsi, socraticamente, della questione di "come uno deve vivere". Proposito lodevole. Allora però sarà costretta a incontrare a un certo punto del suo itinerario i modi concreti in cui la gente tende oggi a vivere. Se non è capace di farlo, se non ha l'immaginazione, la voglia o la curiosità necessarie, dovrebbe imporsi un silenzio perlomeno provvisorio. Per restare ai nostri filosofi morali, così ebbri di Letteratura e di Poesia, sembra che il loro sforzo principale sia quello di rendere attraente il mondo in cui viviamo, scorgendo ovunque nuovi ethos, processi emancipativi latenti, radiose epifanie, negatività solo apparenti. C'era uno sketch della trasmissione televisiva "Lupo solitario": due tipi stralunati (i Gemelli Ruggeri) fanno i corrispondenti di un immaginario paese dell'Est (Croda), poverissimo e triste, che cercano invece, goffamente e pateticamente, di presentare allegro e pieno di attrattive. Così, dove vediamo periferie desolate e squallide, si parla di palazzi ridenti e incantevoli; dove vediamo sordidi stanzoni dopolavoristici abitati da individui malinconici e depressi, ci viene decantata la contagiosa allegria di quella gioventù. Ecco, qualche volta la nostra filosofia, benché attraversata da un vibrante empito morale, ci ricorda le meste telecronache da Croda.

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