ALLA LARGADAI FILOSOFI OVVEROL'ETICAIMPOSSIBILE Filippo La Porta È indubbio: "da qualche annoil fuocodel dibattito filosofico si è spostato sulle questionietiche", come leggiamo perfino su "Alfabeta". Molteplici segnalidi questa tendenza: libri, articoli, riviste, traduzioni,interesseper certi autori, ecc. Il nostro pensiero filosofico,estenuato dalla "eterna ridescrizione della crisi della ragione",delusodai risultati desolatamente grami della ragione teoretica, preferisce rivolgersi al più tangibile terreno dellaragione pratica. D'altra parte, anche gli anni ruggenti del "mistico" e del "religioso" sembrano inopinatamente esaurirsi. Ma chiediamoci subito: tutto questo è positivo? fa ben sperare sulle sorti della speculazionefilosoficae della stessa· cultura? Qualche anno fa auspicavamo un allargamento del pur frizzante dibattito filosofico alla neglettaquestione dell'etica, inquietante convitato di pietra in tempi di severe ittterdizioni culturali. Ciò che in seguitoè avvenuto va al di là di qualsiasi previsione. E si tratta certodi una significativa inversione di tendenza. La morale è stata risvegliatadal quieto e silenzioso letargo in cui l'aveva confinata la filosofia moderna (ogni studente di liceo ben conosce quell'irresistibile processo che va sotto il nome di "fine dell'etica" e che, con ':arie tappe e battute d'arresto, può esseredatato dal '600). E diventata, o ridiventata, oggetto di discorsi pubblici. Ci si potrà anche burlare, come suggerisceVattimo, dei vetusti concetti etico-filosofici (quali "Dio", "soggetto", "significato dell'esistenza"), ma è poi cosìsicuroche gli interrogativi sottesi a quei concetti siano spariti dal nostro orizzonte (il bisogno di sentirsi in armonia con il mondo che ci sta intorno, la spinta a trascendere la propria identità individuale, il desiderio di riconoscere una continuità pur nella propria varietà di esperienze, ecc.)? Insomma, anche se il filosofo americano Richard Rorty vorrebbe convincerci che una comunità non ha bisogno di convinzioni morali condivise ma soltanto di accordi su questioni procedurali, sappiamo che i conflitti e le lacerazioni più insanabilinon investono le questioni procedurali. Fatto sta che il discorso etico, nonostante queste resistenze, sembra uscire da un ambito puramente privato, soggettivo (l'ambito appunto della morale) e anzi tende ad invadere tutti gli spazi della nostra sterminata pubblicistica. Occupa insomma impudicamente i molteplici luoghi della discussione nella polis. Non abbiamo particolare nostalgia per le autocensure degli scorsi decenni (in cui l'etica era quasi interamente riassorbita nella politica), ma tutto questo spinge a qualche ripensamento. Non è solo che discorrereplacidamente di questi temi nella nostra fetta di mondo, nell'Occidente industrializzato e iperconsumista, sia un tantino incongruo. Anzi, per un momento dobbìamofarefinta che non lo sia affatto. Rest~ però l'impressione che in Italia si tenda sempre a straparlare, a discettare senza limiti proprio di quello che in un dato momento manca di più, di quello che non c'è: l'altro ieri di Rivoluzione, ieri del Desiderio (o della Professionalità), oggi 58 dell'etica. Le parole hanno un valore compensatorio, sostitutivo. O esprimono magari un'aspirazione velleitaria, un pensiero generoso ma illusorio. È singolare come nella attuale chiacchiera sull'etica, anche quella più accademica e superflua, vi sia un continuo e imbarazzante richiamarsi a ciò che è "concreto", "reale", "empirico", "quotidiano". Proprio a un pastore protestante, il teologo Dietrich Bonhoeffer, tocca metterci in guardia dai "tentativi di ridurre l'etica a tema di discorso" (cfr. Etica, Bompiani 1969). O meglio, può diventarlo, ma si tratta di tempi eccezionali, cui dovrebbero seguire "tempi in cui la morale ritorna ad essere ovvia". Ora, nell'Italia degli anni '80 la morale è lungi dall'essere "ovvia", ma questo non implica neutralizzarne la sostanza "tragica" attraverso un'alluvione verbale. Né significa consegnare l'intera esistenza quotidiana allo strapotere dell'eticct, alla necessità di compiere ad ogni momento scelte definitive, irreversibili, o di assolvere a doveri supremi. Non possiamo seguire Bonhoeffer negli sviluppi "pietistici" del suo pensiero (il cui nucleo è pur sempre costituito dalla centralità della figura del Cristo, come riconciliazione tra Dio e il mondo), ma la sua critica a un'etica libresca, fatta di principi e di imperativi, ci sembra un'utile premessa a qualsiasi riflessione in merito. Accennavamo prima ad alcuni libri usciti in questo periodo sull'etica. Tralasciando i nostri Baget-Bozzo e Alberoni, particolarmente sensibili al dovere morale di dire la loro su tutto, e, per altre ragioni, un autore impervio come Lévinas, ci occuperemo di tre saggi recentemente tradotti: L 'etica e i limiti della filosofia di Bernard Williams (Laterza), Problemi di etica di Ernst Tugendhat (Einaudi) e Trattato delle virtù dì Vladimir Jankélévitch (Garzanti). Arcadia e accademia Si tratta di libri molto diversi tra loro (come orientamento, metodologia, ecc), ma che permettono di fare il punto sulle principali teorie etiche contemporanee. Proprio per questa ampiezza di visuale è pressoché impossibile renderne conto in modo soddisfacente. Ci limiteremo, come si dice, a segnalarne alcuni aspetti, alcuni nodi tra quelli più rilevanti. Ci sono innanzitutto delle considerazio!'}igenerali che vanno ugualmente bene per tutti e tre gli autori. Malgrado le perspicue differenze si percepisce infatti nella loro riflessione non solo una comune tematica, ma come uno stesso aroma: critica al razionalismo (più o ·menoaccentuata), imprescindibilità della questione della felicità e dunque ritorno ai greci (a proposito, quando la cultura laica è in difficoltà, cerca sempre salvezza nel mondo greco, illimitato contenitore in cui ognuno trova ciò che gli serve: il tragico e l'assenza del tragico, l'egoismo utilitaristico e l'etica dell'amicizia, l'intellettualislJlOe il misticismo, ecc.), identificazione della filosofia stessa con l'etica, necessità di fare a meno di qualsiasi trascendenza, rinnovata attenzione all'esperienza comune. Va subito detto che tutta questa filosofia morale, benché teoreticamente agguerrita, risulta quasi sempre deludente.
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