DISCUSSIONE SIAMOALLEGRI ZINGARELLI Marco Lombardo Radice In uno dei giorni più caldi dei moti antizingari nelle periferie romane, in risposta alle accuse di "razzismo" che ormai si levavano da molte parti, un gruppo di dimostranti ha esibito a giornalisti e fotografi alcuni neri, perfettamente inseriti nella vita della borgata, amici di tutti ed ora lì, come gli altri, a presidiare i blocchi stradali eretti contro la minacciata calata delle carovane rom. Questo episodio, seppur marginale, mi sembra però contenere in nuce le difficoltà esistenti a una reale comprensione di episodi di intolleranza come quelli romani: se di fondo vi è una complessiva e, direi, storica difficoltà a inquadrare il fenomeno dell'intolleranza in sé, a farlo rientrare nelle coordinate interpretative per noi abituali, più a portata di mano appare una trasformazione, potremmo dire "modernizzazione'', del fenomeno che rende inattuali e inapplicabili i modelli classici. Qual è, insomma, la specificità dell'antizingarismo? Perché oggi si è contro gli zingari e non contro i neri? Eliminare le false risposte è più facile che fornire quelle buone. L'immagine tradizionale e consolidata dello zingaro non è un'immagine totalmente negativa o banalmente razzista: basta pensare all'abbondante produzione cinematografica sull'argomento. Violento, imprevedibile, ladro di bambini, sì; ma anche gioioso, musicale, libero; soprattutto misterioso, inquietante, depositario di saggezza e sapere profondi e fascinosi. Siamo insomma lontani dallo stereotipo dell'ebreo che si frega le mani o del negro che dice buana. Ancora: le comunità che si sono ribellate agli insediamenti zingari sono quanto di più lontano si possa immaginare da quelle tradizionalmente culla dell'avversione per il diverso, caratterizzate da un'identità culturale solida e chiusa, da una rigida strutturazione interna; Tor Bella Monaca è lontana quasi quanto Marte dalla Bassa Baviera. In quartieri nati dallo svuotamento delle baracche e delle borgate romane storiche, e dal rimescolamento delle loro popolazioni, incerta seppur possibile appare la designazione di un gruppo di appartenenza, comunque fragile, magmatico, in continuo interscambio con altri gruppi, diverse identità. In fine, poco credibile appare ogni interpretazione di tipo economicistico o infrastrutturale (a cui si sono rifatti, va notato, promotori e artefici dei moti romani, quanto meno nelle prese di posizione pubbliche): gli zingari non avrebbero certamente influito nel mercato del lavoro, né, credo, avrebbero significativamente sovraccaricato i servizi, già molto carenti: al contrario, avrebbero forse attirato su quelle aree l'attenzione e l'intervento pubblico. E comunque, perché allora i neri sì? E i polacchi? 4 Pensandoci sopra, e soprattutto ascoltando i commenti di molti ragazzini di quei quartieri (da cui proviene una larghissima fetta dell'utenza neuropsichiatrica infantile del mio lavoro), qualche possibile risposta mi si è presentata. Gli zingari rubano. Non ha importanza, naturalmente, che sia vero o no, o in che percentuale sia vero. Ciò che conta è che nelle aree dei previsti insediamenti vi è un'altissima incidenza di microdevianza, soprattutto, ma non solo, giovanile. È, al limite, il dato unificante di comunità per altro, come dicevo, così disomogenee. Praticamente ogni famiglia è interessata al fenomeno. Gli zingari offrono allora l'occasione per "proiettare all'esterno" un aspetto interno al gruppo, inquietante e irrisolvibile. Ma siamo ancora a uno dei meccanismi tipici di ogni forma di intolleranza. Gli zingari sono sporchi. Anche questo è - apparentemente - un classico del razzismo di sempre: il negro, Jaute de mieux, puzza. E invece no; a scavare un po' si trova una significativa differenza. La pulizia, diciamo cent'anni fa, aveva una connotazione di classe più e prima che razziale; a puzzare, prima del negro, è il povero. Fino a una rivalutazione, in chiave ugualitaria e progressista, della sporcizia: ricordate il muratorino sul divano buono? La fobia dello sporco esprimeva allora la paura di una contaminazione sociale, della perdita di riconoscibili stigmate di classe. Oggi non è più così: o meglio, quello della pulizia è uno dei valori "borghesi" di cui si sono appropriati i ceti inferiori, un valore ormai svuotato dei suoi contenuti originari, massificato e intensivamente commercializzato: l'invenzione e il massiccio lancio di deodoranti intimi per uomo e la totale cancellazione della secolare tradizione del buon auspicio nel pestare una cacca rappresentano due esempi limite di questo processo. Di fatto, credete a chi visita moltissimi bambini decisamente poveri, il sottoproletario zozza è ormai una rarità; magari con la maglietta bucata e la camicia lisa, ma pulito e profumato. Lo zingaro diviene allora il revenant di un passato ancora troppo vicino. Lo zingaro tocca. Questo appare, se si parla un po' con la gente, un punto centrale._La presa di contatto dello zingaro si fonda sulla creazione di un'illusoria momentanea intimità, di cui il contatto fisico costituisce irrinunciabile fondamento. Contatto fisico e intimità che vengono, oggi, sentiti come estremamente disturbanti. "Prendi la mia mano, zingara ... ", diceva la canzone, non poi molti anni fa; oggi appare impensabile questo offrirsi al contatto, una violenza il doverlo subire. La vera differenza dei polacchi, che affollano come lavavetri i semafori, non è tanto, a mio giudizio, nell'offrire una prestazione lavorativa per quanto simbolica in cambio di denaro - tributando un implicito omaggio alle forme produttive e ai modelli di scambio condivisi - quanto nei comportamenti minuti: rigorosamente a distanza dalla macchina, un cenno per offrire il servigio, la paziente attesa della mancia, una mano che raccoglie senza neanche sfiorarti ... Il significato profondo di questa nuova fobia di massa non mi è chiaro; posso solo aggiungere
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