sintetizzabile in qualche formula e non violentata dall'autorità e dall'autorevolezza dell'autore, è naturalmente una contraddizione in termini. Si tratta di un'aporia nota, e vecchia, e molto ben rappresentata nella neoavanguardia italiana: è la pretesa cioè, suggestiva ma teoreticamente risibile, di contestare l'ideologismo con un'ideologia (forte) della non-ideologia. È forse ancora necessario spiegare che ogni discorso, e tanto più un discorso altamente formalizzato come quello letterario, è sempre un atto di violenza nei confronti della complessità inesauribile del reale, una semplificazione, più o meno densa e ricca, e che questa semplificazione (e interpretazione) è, molto prima e molto più che un limite, la condizione stessa di possibilità del discorso? Al di là poi delle perplessità teoriche, proprio sul piano della riuscita artistica direi, a costo di apparire(!!!) un po' crociano, che a Celati qui nuoce l'eccesso di dimostratività filosofica, l'impulso persino didattico poco contenuto. E se in Narratori delle pianure la concisione dei racconti era elemento di fascino (ma un po' anche deludeva), qui il didattismo non di rado gonfia la narrazione, e non è sempre riscattato dalla padronanza stilistica e dall'invenzione narrativa. Mi rendo conto che rimproverare per la prolissità un libretto di 127 pagine (compreso l'indice) suona davvero feroce, ma non posso farci nulla. Del resto Celati trova evidentemente una misura più felice quando più si lascia andare al piacere del narrare, come avviene soprattutto nella terza "novella" (ma sarebbe meglio parlare di "apologo", di "parabola"), I lettori di libri sono sempre più falsi, la piu complessa per intreccio, e la più ricca di significati anche perché giocata sulla prospettiva di almeno tre personaggi. D'altra parte il recupero del piacere del raccontare è un elemento forte della poetica di Celati, che con molte ragioni teorizza una letteratura che dia ''sollievo'', polemizzando con la criminalizzazione del "consolatorio" operata l?er vari decenni dalla cultura di sinistra. E vero, certo, che non si può vivere (sarebbe un'illusione!) demistificando sempre, che si ha bisogno di finzioni (questo però lo diceva anche Gramsci) nella vita, e figuriamoci poi nella letteratura. È anche vero però che qui si cade nell'eccesso opposto, e che dall'ammettere la necessità delle finzioni al sostenere che la vita sia fatta solo di finzioni, e dunque di racconti e apparenze, il passo è ancora molto lungo, e, qualora compiuto, rivela desideri molto poco celati (potenza ironica dei nomi!) di fare dell'universo una sorta di notte, o se si preferisce di crepuscolo nebbioso, viste le prevalenti Condizioni di luce sulla via Emilia (è il titolo della terza novella) e nei racconti di Celati, in cui tutte le vacche sono grige. Ma una filosofia dell'apparenza in cui sia cancellata ogni differenza di livelli di verità, ogni dialettica tra essere e apparire, non è altro che una filosofia negativa dell'essere mascherata (un'altra finzione!), una metafisica nichilistica che si sforza di apparire come una nuova positività, riuscendo, a dire il vero, assai poco credibile. Si legga questo passo dell'ultima novella, Scomparsa d'un uomo lodevole: "Una volta mi hanno spedito in Svizzera, a persuadere qualche comune svizzero sulla bontà dei nostri contenitori, e là finalmente ho visto qualcosa che mi è parso il contrario dei nostri cataloghi. Delle vacche al pascolo mi guardavano con l'aria di dire: 'Oh, là c'è qualcosa nel mondo'. Vedevo dal loro sguardo che la pensavano così. Pensavano con sor'presa: 'Oh, là c'è qualcosa', grazie anche alla mancanza di cataloghi. Cosa vedevano quelle vacche? Qualcosa di indistinto e senza sigla, vedevano forse l'essenza della grande nullità. Per questo avevano l'aria così riposata e riposante, immagino". Dove si vede anche che, quanto all'importanza teoretica delle vacche, non eravamo poi andati troppo lontani dal vero. In realtà poi per fortuna, come dimostra anche nel passo citato l'accenno polemico nei confronti della civiltà dei consumi e della riduzione a sigla dell'individuo (i "cataloghi" di oggetti da vendere), Celati non è affatto disposto a svendere l'atteggiamento demistificatorio, non consolatorio. Anzi, sarebbe persino possibile leggere i suoi ultimi libri come un'incessante polemica contro la degradazione e l'omologazione indotta dalla civiltà tardo-industriale. Non a caso i protagonisti delle Novelle non sono per nulla negatori della differenza tra l'essenziale e l'inessenziale, tra l'autentico e l'inautentico, al contrario: essi muovono proprio dalla ricerca della verità del mondo e della propria personale autenticità, per poi cedere dolorosamente al dominio dell'omologazione e delle apparenze. Ci accorgiamo così che in Celati convivono, e si sovrappongono senza riuscire a fondersi, due discorsi diversi e persino opposti. Da un lato infatti c'è la metafisica atemporale che vorrebbe rilanciare la positività delle apparenze, suggerendo una possibile felicità in questa condizione eterna e finalmente portata alla coscienza: ma dall'altro c'è il discorso critico che storicizza la riduzione all'apparire, leggendola come negatività, alienazione legata a questo IL CONTESTO MUSICA specifico contesto socio-culturale. Questa contraddizione però non sembra del tutto voluta, e, soprattutto, non è ben risolta narrativamente. Ora vedo però che, a parte qualche osservazione esplicitamente estetica, sembra che io abbia fatto all'ultimo libro di Citati una critica quasi esclusivamente filosofica: ma qualche volta le apparenze ingannano. ILGRANDEDANDY Alessandro Baricco Arturo Benedetti Michelangeli alla televisione. Otto concerti registrati 25 anni fa: bianco e nero, regia essenziale, sonoro ovviamente datato e cioè imperfetto. Otto trasmissioni occultate in un'anomala piega del palinsesto: sabato sera sul tardi. Chissà quanti sono andati a scovarle fin laggiù, e a godersele. Io comunque ci sono andato: perèhé era la prima volta. La prima volta che lo vedevo suonare, intendo dire. Mai visto prima. Qualche foto, ovviamente. Ma mentre suona, mai. Il fatto è che non ci ho nemmeno mai provato ad andarlo a 'inseguire, in giro per l'Europa, dove fissa quei concerti che poi quasi regolarmente annulla perché la sala è troppo umida, o il seggiolino scricchiolante, o il pubblico troppo tossicchiante, e così via. Non è una critica: dico solo per dire. Lui una sua logica ce l'ha. Quando gli hanno chiesto, una volta, perché annullasse tutti quei concerti lui rispose, disarmante: per rispetto nei confronti del pubblico. Nel senso che se non ci sono le condizioni ottimali per Foto Lauterwasser. 27
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