Linea d'ombra - anno VI - n. 24 - febbraio 1988

ha mai creduto tanto alle apparenze come la nostra. Viviamo in un periodo in cui bisogna pensare appunto alla moda, alle forme, alla forma delle macchine, delle case, alla forma degli oggetti, alle forme di presentazione. Io credo che non ci sia stata mài un'epoca così affezionata al puro apparire. D'altra parte c'è sempre qualcuno che vuole poi garantirsi tutta questa apparenza. Apparenza che volendo possiamo anche chiamare "tutto il falso che c'è intorno a noi", non perché le apparenze siano false, ma perché sono sempre ciò di cui non sappiamo quello che c'è dietro. Uno stato di continua incertezza, in sostanza? Beh, è molto strano perché in realtà poi quasi tutti sembra che si rifiutino di accettare questo fatto. E la cosa è molto semplice: se abbiamo perduto Dio, dobbiamo pensare cosa è successo. Sarà successo qualcosa nel fatto che non troviamo più Dio. Non che Dio sia nelle apparenze, però in qualche modo è un nostro problema, che riguarda tutto ciò che vediamo, da un filo d'erba a un vestito di Armani. In che modo? Nel senso che non è indifferente il modo in cui noi guardiamo queste cose. Inoltre c'è una piccola cosa da dire. Per i Greci la parola che diceva "natura" aveva dentro di sé una radice verbale che indicava l'apparire, il venire a manifestazione, lo spuntare. Quindi è una cosa molto antica a cui dobbiamo pensare. La questione sembra molto interessante e apre la possibilità di ridare valore alle cose che ci circondano. Il mio problema, non so se posso dire, è che non mi ritrovo in nessun modo con tutta una cultura che vuole demistificare le apparenze. Questa è la cultura in gran parte di sinistra, la cultura semiologica, la cultura dell'intellighenzia. In questa cultura io non mi trovo, mi sento semmai più vicino alla cultura della moda, cioè la capisco di più perché mi sembra che sia più vera, meno corazzata; non perché sia uno che segue la moda ... Che cosa intendi in particolare? Voglio dire che tutta l'intellighenzia o la cultura di sinistra propone sempre un tipo d'uomo che si sottrae al banale e che giudica il banale dal di fuori. Ecco, questo tipo di atteggiamento per me è insopportabile. Leggendo questi racconti mi è parso di Foto di Fulvia Farassino. ascoltare la voce dei pensieri nel loro fluire naturale dentro ai personaggi, come dire una specie di registrazione nella testa... Tutti noi siamo in balia di un totem, che sarebbe il totem della personalità. Questa è la nostra croce, perché è quella cosa che dobbiamo sempre presentare agli altri. Ora il problema è dove vanno i pensieri. Quando noi dobbiamo presentarci agli altri, dobbiamo sempre avere convinzioni e opinioni. Abbiamo un obbligo di essere pieni di convinzioni e opinioni altrimenti gli altri non ci prendono sul serio. Ma ci sono anche altri pensieri. Ci sono dei pensieri che cadono a lato di noi stessi, nel senso che ci sfuggono, quasi non sapessero dove andare. Questi pensieri sono come dei fenomeni esterni in qualche modo. Sono come la luce oppure un taglio d'ombra in un muro, cioè cose che accadono e ci accadono. Ecco forse è possibile pensare, anche se siamo così prigionieri di questo regime della personalità forte, che i pensieri cadano a lato della nostra coscienza, e quindi siano come dei fenomeni esterni. L'idea era presente nei filosofi antichi e in parte riguarda anche il racconto sulla luce, Condizioni di luce sulla via Emilia, ed è cioè questa: non è che l'anima è dentro di noi, è che noi siamo dentro l'anima; quindi c'è un'anima del mondo in cui noi siamo dentro. In qualche modo questa anima del mondo è comunque fatta di pensieri, anche se non li vediamo fisicamente. Noi sappiamo che ci sono quando guardiamo in faccia qualcuno o guardiamo qualcosa. Ecco tutti questi pensieri che cadono a lato di noi stessi possono essere trattati come fenomeni naturali, voglio dire che non sono pensieri di convincimento. Sono un po' come il vento, l'aria che tira, una possibilità del genere. Come si può ancora affrontare la rappresentazione con la scrittura? È sempre un problema di raccolta, di raccogliere ... La rappresentazione noi sappiamo che ha avuto una grande crisi non solo dal sessantotto, ma a partire dai surrealisti; la rappresentazione è stato un concetto continuamente aggredito e considerato negativo, cioè dispregiativo. La cosa più semplice da dire è che noi in ogni momento nel presentarci agli altri ci dobbiamo rappresentare ·e la seconda cosa è che la lingua, il linguaggio, è ciò che ci mette nella rappresentazione all'infinito. Per quale regola succede questo? Nel senso preciso che è cosa rarissima che esistano parole dette per se stesse, quando IL CONTESTO questo avviene è un qualche miracolo: le parole sono dette per gli altri e quindi per ciò che ci unisce in questa cosa che è l'ovvietà. A proposito di questa nozione di rappresentazione, queste storie sono caratterizzate da una fine trama di giochi di rimando divertenti come certi tic, gag e dettagli, piccole situazioni che si ripetono nellefigure di contorno con una comicità a volte surreale. Io credo che mi sia tornato un amore della rappresentazione e quindi la rappresentazione è sempre fatta un po' di queste cose, di punti d'appoggio, di inquadrature e punti di sottolineatura. Non ho amore per una rappresentazione forte, che dia se stessa per scontata. Ho amore per quelle rappresentazioni che dobbiamo fare per esempio quando ci si innamora. Ecco queste sono come sempre possibilità in cui la rappresentazione, e quindi tutto il fittizio di cui siamo fatti, viene completamente rimesso in gioco. Voglio dire che in fondo noi dobbiamo considerare noi stessi sempre degli esseri inautentici; non possiamo considerarci mai degli esseri autentici, perché sennò significherebbe che avremmo già risolto i nostri problemi di umiltà rispetto a qualcosa che è più grande di noi. Allora la rappresentazione nel suo momento sorgivo è questo momento in cui noi in qualche modo, non siamo contenti, ma ci accettiamo come esseri inautentici. Quindi non mi sembra un fatto dispregiativo il modo in cui quando osserviamo noi stessi sentiamo che siamo inautentici, delegati alla rappresentazione. A volte questa percezione di inautenticità si lega al problema del senso di vuoto dietro molte rappresentazioni. 25

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