Linea d'ombra - anno VI - n. 24 - febbraio 1988

nialismo e dall'oppressione straniera non è diventata liberazione dalla loro servitù secolare, dalla prigione che le donne arabe si portano dentro. Nel mormorio delle donne di Assia Djebar si materializza il disagio per una condizione scissa tra realtà pubblica - definita da ruoli e comportamenti antichi che negano al soggetto femminile ogni autonomia di scelta, al di là delle regole che ne definiscono la tradizionale identità subalterna - e realtà privata e interiore, dove invece insorgono nuovi bisogni che spingono a recuperare la soggettività, il corpo e la parola. La stessa scrittura si fa carico di questa duplice condizione, oscillando tra i modi di una narrazione piana e paratattica e quelli complessi dei processi associativi, del sogno e del delirio. Assia Djebar ci mostra un universo femminile dove le anime "sono più che mai in movimento", ce ne mostra uno spaccato quotidiano, ce ne racconta i gesti, le azioni, i sentimenti, le parole, quelle parole che sono la via maestra per ogni possibile liberazione: "parlare, parlare senza sosta di ieri e di oggi, parlare fra noi in tutti i ginecei, in quelli tradizionali e negli appartamenti delle Case Popolari, parlare fra noi e guardare, guardare fuori, fuori dalle mura e delle prigioni!'' Anche Tahar Ben Jelloun, lo scrittore marocchino residente in Francia che poco tempo fa ha vinto il prestigioso premio Goncourt, affronta la condizione femminile nel mondo arabo, seppure secondo una prospettiva molto particolare. Infatti, in Creatura di sabbia (Einaudi, pp. 174, L.18000) egli ci racconta una storia del Marocco di oggi, che però ha origine e spiegazione nella tradizione secolare che relega la donna araba in una condizione passiva e subordinata. Protagonista è l'ottava e ultima figlia del vasaio Souleimane, il quale, pur di avere un figlio maschio di cui andare fiero e a cui lasciare l'eredità, non esita a privare l'ultima nata della sua identità femminile, allevandola ed educandola come se fosse un maschio: la piccola si chiamerà Ahmed, le sarà insegnato _acomportarsi da uomo e nessuno, tranne i suoi genitori, conoscerà mai il suo vero sesso e il suo dramma. All'origine della vicenda è dunque l'identità negata della protagonista, di cui l'autore ci racconta lo stupore e l'incertezza, il dolore e la rabbia che accompagnano il suo strano e atroce destino, man mano che la realtà fisiologica, riprendendosi la rivincita sul folle disegno paterno, si afferma con tutte le sue contraddizioni. Per Ahmed la vita diventa uno strano labirinto in cui, infrangendo ruoli e convenzioni, la creatura androgina si mette alla ricerca del suo corpo e del suo sesso, inseguendo una libertà impossibile se·non nelle stanze chiuse dell'esilio dal mondo. Sulla pagina ;i addensano luci e ombre, allucinazioni e fantasmi, finzioni e inganni resi ancor più inquietanti dalla sapienza strutturale di Ben Jelloun: egli affida il racconto ad un narratore di piazza, a cui però si affiancano altre voci che, tra anticipazioni e flashback, tra false piste e storie parallele, concorrono a svelare il mistero della vita di Ahmed. In tale proliferare di storie e racconti, nell'alternarsi degli aspiranti narratori, tutti convinti di possedere verità e prove convincenti, vengono meno i ruoli tradizionali tra chi narra e chi ascolta, lo spazio della storia esplode in mille frammenti che toccherà al lettore di ricostruire. Alla varietà delle voci e delle situazioni corrisponde poi un'ampia varietà stilistica che poggia su una precisa ed accurata ricerca linguistica, su una lingua poeticamente violenta che dà corpo alla forza drammatica della vicenda. Certo, dietro al dramma di Ahmed emerge la dualità stessa dell'autore, il suo bisogno di ridefinire la propria identità scissa tra cultura araba e francese, tra tradizione e modernità; se da un lato infatti egli è deciso a infrangere secolari tabù e a denunciare i tratti arcaici della cultura araba, dall'altro però sente in quella cultura le sue radici irrinunciabili, percependone il fascino profondo. E questa ci sembra essere una condizione assai frequente nella cultura maghrebina, un nodo non risolto in molti dei suoi autori contemporanei, che comunque ci offrono sempre dei percorsi all'interno della civiltà quotidiana, degli usi e costumi, della cultura e dei problemi del mondo arabo, che non è solo petrolio e guerra, come negli ultimi tempi sempre più ci viene detto. IL CONTESTO BAL~CCHIEPICCIONI Mario Barenghi Conservo, lo confesso, un ricordo molto vivo del primo libro di Patrick Si.iskind. Le prime pagine del Prof umo, pubblicato a puntate sul "Corriere della Sera" nel 1985, erano decisamente accattivanti. La descrizione della Parigi settecentesca condotta attraverso una brulicante congerie di sensazioni olfattive traboccava di energia vitale; la figura del protagonista era originale e nuova, e il resoconto della sua infanzia ben impostato, secondo moduli narrativi collaudati ma di sicuro effetto. E poi? Poi, anziché prender quota, il romanzo perdeva slancio, segnava il passo, deperiva. Il personaggio di Grenouille, strano e affascinante essere dotato di una sensitività così acuta da poter fondere in sé i caratteri di un animale e di un genio, di un terrestre e di un alieno, si afflosciava in un'inerzia misticheggiante da mediocre romito, dilapidando il patrimonio di istintiva vitalità che così bene prometteva sul piano romanzesco. Qualche delitto non bastava, più avanti, a restituire corpo a lui e al suo destino: e il libro si spegneva in un'erudizione profumiera sempre più vana, senza riuscire a trasmettere al lettore il senso di un'immagine del mondo da contemplare e riflettere. Che cosa era successo? Molto semplicemente, che l'autore non era stato ali' altezza della sua trovata iniziale. L'idea era buona, buona davvero; ma lui non ne aveva colto le potenzialità e le leggi interne di sviluppo, né in senso avventuroso, né in senso ideologico o filosofico. In una parola, non l'aveva capita: e così, a un certo punto, non aveva più saputo letteralmente cosa farsene. Peccato, perché forse quell'idea sarebbe potuta venire a uno scrittore di miglior tempra, o di maggior vena. Il piccione, racconto lungo edito da poco da Longanesi (trad. di Giovanna Agabio, pp. 102, L. 15000) conferma purtroppo le impressioni meno positive suscitate dal precedente libro di Si.iskind, tanto più che l'idea di base, questa volta, è alquanto debole. Il protagonista, Jonathan Noel, è un individuo abulico e solitario, precocemente rassegnato alla inaffidabilità del genere umano, desideroso di trascorrere·un'esistenza quanto più possibile monotona e povera di eventi, rintanandosi ogni sera nella chambre de bonne dove alloggia e con la quale intrattiene un rapporto di intimità gelosa, intriso di valenze edipiche. Questo rapporto, e con esso l'intero suo sistema di vita, viene sconvolto un bel mattino dall'inopinata apparizione di 23

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