Linea d'ombra - anno VI - n. 24 - febbraio 1988

IL CONTESTO ANTOLOGIA DISCORSO fatto ali'Ambasciatad'Israele in occasionedel conferimento d'una medagliaper aver salvato moltiEbreinel periodo dell'occupazionenazista (21 aprile 1982). Tullio Vinay Signor Ambasciatore, Ricevo questa medaglia non come segno di riconoscenza, né tanto meno come onorificenza perché non ho fatto che il mio dovere di uomo. La ricevo però come segno di affetto da parte di quelli che ho amato. Di affetto tutti ne abbiamo bisogno perché l'amore è il vero motore della vita. Son passati 40 anni: ho dimenticato i nomi ed i volti di quelle trenta o quaranta o più persone che ho aiutate a scampare dai campi di annientamento, ma esse hanno lasciato, come l'intero olocausto degli Ebrei, un segn_oprofondo, indelebile, per sempre, nella mia vita. Tant'è che proprio in conseguenza di quelle sofferenze, e delle altre della li guerra mondiale, abbiamo fondato fin dal 1947 il Centro di Agape che ha voluto innanzitutto essere un luogo di riconciliazione fra i popoli, prima nemici, per la costruzione di un mondo nuovo sul fondamento dell'amore di Dio. Questa vocazione l'ho trovata nei Profeti di Israele ed in Cristo. La mia politica, anche ora al Senato, vuol essere mossa dall'amore per gli altri ed essere perciò soprattutto difesa dei deboli e degli oppressi. In questa occasione, perciò, Signor Ambasciatore, mi trova in un campo diverso. Per la stessa ragione per la quale sono stato, anche con gravi rischi, vicino alle sofferenze degli Ebrei, non posso ignorare, ora, quelle dei Palestinesi. Non si stupisca. Sempre dalla parte di Abele. E spero tanto che quelli che ho aiutato a salvarsi mi comprendano, tanto più che non ho mai colto sulla loro bocca una parola di rivalsa. Mi spiego. Si può comprendere che dopo 2000 anni di dispersione e di persecuzioni, gli Ebrei abbiano desiderato avere una patria, ma per averla hanno dovuto toglierla ad altri. Hanno fatto pagare agli Arabi le colpe degli Europei e degli Americani. Arriverei a comprendere questo se ne fosse seguita una politica di comprensione e di aiuto agli espropriati, ai vostri fratelli conterranei, una politica di buon vicinato, anche se rifiutati. Non c'è avversario che non possa essere vinto dall'amore. Israele ha fatto del deserto 16 un giardino d'Eden; perché non aiutare i Palestinesi a fare altrettanto affinché il minor territorio fosse compensato dalla maggior qualità d'esso? Questa non è ingenuità, è semplicemente una politica diversa da quella abituale che manda in rovina il mondo. Israele, invece, ha continuato, con le annessioni, con repressioni sempre più crudeli, con rappresaglie in cui sono stati coinvolti anche le donne ed i bambini. È con profondo dolore che pronunzio queste parole proprio per l'amore che ho per il vostro popolo, amore che è sorto non soltanto quando eravate perseguitati e distrutti, ma anche prima. Ma per onestà verso voi e verso me, dovevo dirle. Ma voglio volgere lo sguardo al futuro, malgrado tutto questo. In un giorno del 1943, un maestro ebreo che si era rifugiato da me, mi chiese una parola di conforto. Glovoni palestinesi a Ga:z:a, gennaio 1988 (foto Mlchael Scott/AFP). Sotto: Raga:z::z:opalestinese arrestato nel campo di Salata, gennaio 1988 (foto Assoclated Press). Spesso succedeva così in casi analoghi. Presi l'Antico Testamento e lessi un passo del profeta Osea, il profeta dell'amore. Il passo suona così: Dice l'Eterno: "Il mio cuore si commuove tutto dentro di me. Io non sfogherò l'ardente mia ira, non distruggerò Efraim di nuovo, perché son Dio e non un uomo". A questo punto il maestro mi interruppe: "Ora comprendo perché ci perseguitano!" ed io: "Perché dice questo?" - "Perché nessuno ha mai dato un simile messaggio!" Aveva capito l'annunzio della grazia incluso nel testo, l'annunzio dell'amore come vocazione di Israele, non la politica di Begin. L'lddio di Abramo, d'Isacco, di Giacobbe è anche l'lddio di Gesù Cristo: l'lddio che fa grazia, l'lddio che ama, che ci ama. Attendiamo che Israele riconosca nella politica quotidiana questa sua vera vocazione per darne un segno alle altre nazioni, le quali pure devono "convertirsi dalle loro vie malvagie", per usare ancora un'espressione dell'A.T. Attendiamo questo da Israele, ma ci vuole prima un capovolgimento completo della sua politica verso i suoi vicini. Sì, Israele antesignano di un mondo nuovo, non ripetitore delle barbarie delle altre nazioni. Su questa linea di attesa avrei molto da dire. Mi fermo qui. Questo segno di affetto, lo chiamo così, 40 anni fa non avrebbe avuto bisogno di questo chiarimento. Ora era necessario perché non si pensi, in alcun modo, che dimentico gli oppressi, per convenienza o anche per semplice cortesia. (da L'utopia del mondo nuovo, Claudiana 1984)

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