Linea d'ombra - anno VI - n. 24 - febbraio 1988

un'imperativo morale. Amleto è spinto all'azione da uno spettro "genitoriale", da un fantasma invendicato; mentre uno spettro non meno paterno, una Statua che viene dall'oltretomba (cui si aggiunge, in Molière, il fantasma di una donna velata) interrompe la serie criminosa delle azioni di Don Giovanni. Il primo decennio del Seicento non avrebbe mai potuto inventare due rampolli di nobiltà più antitetica e speculare. Ma come si manifesta, teatralmente, la discontinuità, nella recitazione di Don Giovanni? L'azione di Don Giovanni è un'azione interrotta: un esercizio instancabile di seduzione, interrotto, a brevi intervalli, dall'ironia glaciale che Don Giovanni riserva ai personaggi aristocratici, alle istituzioni che lo inseguono e lo braccano (la stirpe, la coppia, l'onore, ecc.). Queste istituzioni rinviano a un grande Attore sconosciuto e invisibile, fremmentato in tante recitazioni "persecutorie", il Cielo; attore impallidito in Mozart, alla fine del Settecento, ma ancora misterioso, ancora comico e cupo in Molière. Don Giovanni attraversa l'inferno corneliano (per così dire) di queste istituzioni "sacre", travestite da Cielo, rifiutandone la tragedia, la sofferenza esteriore, il lutto, cioè il grado retorico di recitazione. Ora, ci deve essere un'azione di Don Giovanni che rifletta, teatralmente, un comportamento di attore che fugge, perché l'azione di sedurre non si riscontra, in Don Giovanni, senza una subitanea vacanza e fuga dal teatro. Don Giovanni agisce e assiste, da spettatore, ai tragici effetti della sua azione (esattamente al contrario di Amleto). Ma come può un attore agire l'inazione? Come può agire la fuga? Come può esserci e non-esserci? C'è una connotazione di Don Giovanni, contemporanea alla nascita del burlador e a torto dimenticata, che avrebbe dovuto aprire gli occhi agli esegeti moderni così innamorati dei "significati". C'è un solo modo di essere e di non essere, è quello di travestirsi, di camuffarsi. Non si tratta solo di cambiarsi d'abito (sebbene Don Giovanni non faccia altro), ma di recitare il travestimento, di farlo diventare protagonista di una recitazione truccata fino ai limiti della parodia, come fanno i cornici d'avanspettacolo quando sottolineano il loro vestito colorato. Amleto è un attore che ha bisogno della nudità del teschio, e veste a lutto perché ha il teatro nel sangue. Don Giovanni è un attore che deve scappare, e ha bisogno delle apparenze del teatro per nascondersi. C'è un momento, in ogni Convitato di pietra, dove l'affannoso trasformismo del seduttore si placa. È la stretta di mano finale, l'invito a cena. Che cos'è la morte, per Don Giovanni? Quando incontra la tomba del Commendatore, il grande libertino è un attore ormai stanco di fingere. La morte lo tenta, e l'invito a cena è un'altra conquista. È un invito a recitare rivolto a una realtà che non appartiene al teatro. Don Giovanni è stato colpito dalla sontuosità di una tomba. Che bisogno ha la morte di apparire? Don Giovanni viene preso da un dubbio, e si chiede se anche i morti, per caso, non recitino. Forse la morte non è una liberazione. Forse è la finzione delle finzioni, l'istituzione delle istituzioni, il teatro dei teatri. Ma i lettori mi perdoneranno, se qui metto punto e chiudo il mio articolo. Su questo argomento, io sto scrivendo un libro. Tnornpson aertna serth• 90Jt.car . I al Sa'daWI Nawa flrdaUS ·ner trtcan• O live 5cnre1 fattoria a di un• storia caracciolo paletan° Enrichetta hlostro na H11sterldel e Wirnscnneider ,A.nna d'autunno Latte were Grace paley trattelllPI del v p1ccoll con Jean RhY5 I bUIO "'aggio ne ,A.NoJOOd Margaret I oracoo Lady Nongen• Elsa Joubert glo di popple 11 ,ungo v1ag .., 0· Enchi fulllt" onnazak• - Elisabeth auri~~obert• 1111enchU ,..., chlalll 0 è Roctoreda Mere ,.,0111• auchi Ernec~~tasecond•c1asse ctttadln• GIUNTI

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