DISCUSSIONE Giovanni recita sempre la· violenza e la frode, nel senso che è il solo dei grandi personaggi classici a usare la recitazione per raggiungere uno scopo. Se non deve raggiungere uno scopo, se non deve stuprare e sedurre ("vieni, mio bel diletto"), Don Giovanni non solo non recita e non canta, ma non fa nulla. Si limita a prendere in giro, provocandoli, tutti quelli che cantano e recitano. In quanto attore, Don Giovanni è solo un ipocrita, non conosce altre parti. È chiaro dove si arriva partendo da queste premesse. Se Don Giovanni recita solo la violenza e la frode, vuol dire che recita il privilegio: ma se lo recita vuol dire che lo denuncia. Questa matematica, questo tipo di teatralità ipocrita, ma ironica e gaia (gemella e opposta all'ipocrisia di Tartufo) fa di Don Giovanni ben altro eroe del tenebroso "revolté" così caro alla psicologia moderna. Don Giovanni è il portatore di una rivoluzione tecnica, è un corpo teatrale ingovernabile, spensierato, misterioso, un anticorpo teatrale, un attore che sta dentro e fuori il teatro. È il prototipo dell'attore (l'ipocrita) ed è il contrario dell'attore. È il massimo del comportamento di classe nel suo cinismo più spudorato (la violenza e la frode) ma, nello stesso tempo, è la parodia e la denuncia di questo comportamento. Lo si direbbe un assoluto reale, che si colloca al centro di finzioni che sono istituzioni e viceversa. Ogni differenza tra il fatto sociale e il fatto teatrale viene abolita. Quando recita, Don Giovanni denuncia la criminalità intrinseca alla natura del privilegio; ma quando non recita, denuncia la teatralità e la simulazione intrinseche a ogni comportamento 14 passionale aristocratico. È come dire che Don Giovanni denuncia la società aristocratica da una parte come un cattivo teatro, e dall'altra come una realtà criminale. È infatti il solo, fra i personaggi aristocratici di tutti i tempi, a rifiutarsi di vivere passioni tragiche, e ad amare il comico come si amano le infrazioni. La cultura moderna, per correre dietro alla psicologia tenebrosa del seduttore, ha dimenticato la sua anima di burlador. Don Giovanni farebbe uccidere Clitennestra, o chi altri per lei, ma non la farebbe mai assassinare da un Oreste o da un Amleto. La farebbe uccidere, ridendo, da Totò. Si possono spingere queste osservazioni, senza invadere i territori della psicologia ma restando in palcoscenico, anche più in là. Un'altra delle novità di Don Giovanni, in quanto attore, è che Don Giovanni sceglie di recitare, cioè di essere ipocrita, quando vuole lui. Al contrario di Tartufo, ipocrita dannato alla recitazione, dannato al suo povero e simulato abito da prete, Don Giovanni usa e interrompe la propria simulazione, a capriccio, con la libertà dei signori. Usa la recitazione come un vestito: lo indossa, ci si diverte, posa davanti allo specchio, e lo butta via. La recitazione di Don Giovanni è discontinua, divisa tra l'agire e il non agire, l'essere e il non essere. Don Giovanni c'è e non c'è, recita e non recita quasi nello stesso istante. È questa una delle ragioni per le quali il grande e irriducibile simulatore, in Mozart, canta così poco, e mai grandi arie. Luigi Bassi si lamentava, con Mozart, di questa parsimonia, senza capire quanto un simile tecnicismo si adattasse al libertino: poche e brevi arie ma esplosive, come "Finch'han dal vino/la testa calda". Intermini un po' moderni, si potrebbe definire la recitazione di Don Giovanni una recitazione "quantistica", intermittente, intermedia tra l'entusiasmo e la stanchezza, fatta di tanti quanti d'azione esplosivi, alternati a dei quanti d'inazione annoiatissimi. Quando Don Giovanni non esercita lacriminalità che nasce dal privilegio, la sua teatralità passa in zone depresse che si direbbero di non-recitazione, di noia, di disappartenenza al teatro. Sono i momenti in cui Don Giovanni vuole uscire, fuggire dal teatro. Alla radice di questa discontinuità c'è una logica profonda. Don Giovanni è un uomo del Seicento, del primo Seicento. Non esiste per lui la "realtà", la dimensione e la coscienza interiore della realtà. Per Don Giovanni, come per Amleto, o c'è la vita o c'è il teatro. Ebbene, Don Giovanni è continuamente costretto ad abbandonare la vita e a recitare il teatro. Da qui la sua noia, la sua "inazione teatrale", così diversa dalla noia e dall'inazione di Amleto. Amleto è un attore che aborre l'azione, e vorrebbe eternamente il teatro; Don Giovanni detesta il teatro, e chiede solo di agire. Ma entrambi sono trascinati e persi da una forza contraria alla natura della loro recitazione: Amleto è risucchiato dal teatro verso la vita, e Don Giovanni è condannato a un'azione continuamente interrotta. La simmetria è ancora più speculare. Don Giovanni recita gaiamente e spensieratamente la criminalità; Amleto soggiace lugubremente e tristemente a
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==