DISCUSSIONE zione di tipo corporativo, rappresentata dall' Agis, una sorta di Confindustria dello spettacolo, abbastanza potente per decidere in pratica da sola sui criteri delle sovvenzioni ministeriali. Il protagonismo di un paio di ministri socialisti e l'insofferenza per i criteri oligarchici della sua gestione hanno fatto saltare almeno in parte il meccanismo della lottizzazione corporativa o "per categorie". D'altro canto i vari tentativi di formulare una legge capace di dettare criteri generali di organizzazione teatrale, e quindi implicitamente di razionalizzare un settore della cultura così dipendente da fatti strutturali, sono completamente caduti. La proposta di legge che portava il nome del ministro Lagorio si è arenata sul1'opposizione dei teatri stabili piu ancora che sulla crisi di governo; il nuovo ministro Carrara ne ha promessa una sua; se ne ignorano i contenuti ma si può essere facili profeti prevedendo che non avrà vita facile. Manca oggi ogni disegno generale, ogni strategia sul teatro. Due sono le conseguenze principali di questo stato di caos generalizzato, entrambe molto negative e determinanti per lo stato di disordinata agonia del teatro di cui si parlava sopra. La prima è una campagna per il "disboscamento" della giungla teatrale, sui cui si sono trovati d'accordo un po' tutti, da Strehler al più importante degli impresari privati, Lucio Ardenzi, da molti critici fino all' Agis. L'idea di base è che il problema del teatro italiano sia "l'inflazione" o ''l'eccesso di offerta" dovuta ai finanziamenti indiscriminati. Dunque, basterebbe eliminare gli indegni e tutto andrebbe meglio. Peccato che gli usurpatori siano sempre gli altri; in concreto, che non ci siano altri criteri per stabilire chi siano i reprobi, che il potere (economico, politico, d'opinione, di sotto12 governo). Dunque il progetto di disboscamento, che coglie solo alcuni dei termini della crisi (nepotismo, corruzione, scarsa o fantomatica produttività di alcuni gruppi protetti) pensa di risolverli eliminando i più deboli, diminuendo il teatro che si fa e riservandolo alle situazioni più consone a una definizione consueta e leggibile del teatro. Si tratta di una scelta non solo poco "ecologica", ma tendenzialmente suicida, nel momento in cui uno dei problemi principali, addirittura anagrafici del teatro è il suo rinnovamento, l'ingresso di nuove energie. Di qui viene una delle radici dell'emergenza per i gruppi piccoli e nuovi, gli artisti isolati, quelli che non sono inseriti in qualche struttura di potere. Esiste non solo la durezza della selezione naturale, ma anche una volontà decisa, politica di decimazione. La seconda conseguenza, che è ancora più grave, nasce in parte anche da questa prima, e in parte da molti altri fenomeni cui ho accennato sopra. La crisi delle ideologie anche teatrali, la caduta degli schieramenti, l'appiattimento delle poetiche, il cattivo funzionamento della mediazione corporativa, perfino la mancanza di un pubblico interessato e disposto a sostenere ciò che gli sembra importante, la caduta di tutti i progetti di razionalizzazione, trasformati in ingombranti macerie amministrative e organizzative, la dipendenza sempre più grave dai finanziamenti pubblici, la mancanza di ricambio, l'abitudine consociativa per cui l'opposizione non si reprime a patto che sia sufficientemente forte e accetti di omologarsi, il senso di pericolo incombente per i più deboli: tutto ciò ha profondamente trasformato il panorama teatrale, la sua politica, la sua struttura di potere. Se in passato regnavano i grandi schieramenti e le soli-
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