questo processo (prove, tempi, emozioni, ripetizioni, rapporti personali, gruppo) sono sistemate - consapevolmente o meno - proprio in maniera da provocare l'emergenza come leva creativa. "La stanchezza è utile, anzi necessaria perché qualche cosa nasca", ha detto una volta Jerzy Grotowski, e questo è un "trucco" cui ricorrono spesso tutti i teatranti, senza pregiudizi estetici o teorici. Una bella messinscena razionale e programmata, senza emergenze e crisi, non funziona neppure per i musical piu commerciali. Emergenza, in questo senso, è dunque una parola che indica bene la situazione creativa del teatro, grazie alla sua connaturata ambiguità: perché "emerga" qualche cosa di reale, si deve raggiungere un punto di non ritorno, un momento di eccezione o di crisi, che richiama tutte le energie disponibili, anche quelle che non lo sembravano più o che non si sapeva ci fossero. Questo senso dell'emergenza, fra l'altro, spiega certe confluenze, altrimenti inspiegabili, fra un'arte altamente convenzionalizzata della finzione e bisogni di ''verità" psicologici, politici, o addirittura religiosi, uno dei temi fondamentali della storia del teatro non solo recente. Ma il senso dello slogan "teatro d'emergenza", com'è stato proposto al convegno organizzato a Bologna da Leo de Berardinis nel dicembre '87 sotto questo titolo, e come intendo usarlo io qui di seguito, è molto più banale e concreto. Alla lettera, il punto è che c'è oggi in Italia un teatro che fa molta fatica a sopravvivere decentemente, e di cui una serie di mali traumatici e cronici rischiano di provocare se non la distruzione, almeno un grave degrado. Intervenire, denunciare la situazione, indicarne i responsabili fa parte oggi del compito di ogni intellettuale vicino al teatro, e di ogni teatrante che vuole assumersi le sue responsabilità generali. Che ci sia una malattia, che i sintomi patologici si stiano moltiplicando, sono tutti d'accordo, anche gli inguaribili ottimisti e coloro che hanno gestito fin qui il piccolo potere che regola questo settore. Perfino Giorgio Strehler, da sempre direttore del teatro piu potente e finanziato d'Italia, ha pubblicato un appello in questo senso. Il paziente, dunque, per giudizio generale non è solo il "nuovo teatro" ma tutto il sistema teatrale nel suo complesso. Più difficile mettersi d'accordo sulle cause e sui rimedi della malattia. Che cosa c'è infatti che non funziona, nella situazione attuale del teatro? I sintomi più esteriori sono facilissimi da vedere. Un certo smarrimento, una certa evidente perdita di senso. La presenza del pubblico non diminuita ma sempre più burocratica. Una mancanza di progettualità autentica, una relativa omologazione di tecniche e poetiche. Una certa rarefazione del nuovo, l'impressione generale del già visto. Una confusione delle diverse identità, la frantumazione degli schieramenti che fino a qualche anno fa esistevano, in una selva confusa di rapporti personali, di affinità elettive, ma soprattutto di interessi comuni. Una caduta evidente di interesse rispetto al teatro come mezzo di espressione, come luogo dove si dice o si mostra o si fa qualche cosa di vero, rispetto alla logica "oggettiva" della "impresa". Una prevalenza delle DISCUSSIONE ragioni del commercio su quelle dell'espressione artistica. L'incapacità di concepire strategie generali, di darsi compiti nuovi, di proporre punti di vista magari duramente contrapposti ma innovativi. In una parola, la stagnazione, la noia. Bisogna naturalmente andare un po' più in là di questi sintomi e chiedersene la ragione. O piuttosto le cause, al plurale, perché sono certo più d'una. Un primo punto è il ricambio generazionale non avvenuto e anzi fortemente ostacolato dalla struttura del sistema teatrale. I registi, gli attori, i direttori di teatri importanti hanno quasi tutti più di sessant'anni, e appaiono ben decisi a non lasciar campo a nessun altro fino a che ne hanno la forza. Un secondo, connesso a questo, è la scarsa o minima comunicazione di energie, temi, quadri fra teatro "ufficiale" e nuovo teatro: una rottura che ha perso buona parte dei suoi valori ideologici ma continua quasi per partito preso. Il fatto è che fino a qualche anno fa tale chiusura corrispondeva a una polemica vera, a un'inimicizia fondata su valori e su progetti; mentre oggi è solo una stanca eredità del passato, che pochi si sforzano finalmente di far saltare. Fondamentale, in questa costellazione di cause, è stato il modo in cui ha agito l'intervento pubblico. Dai tempi della fondazione del Piccolo Teatro, quarant'anni fa, le fonti principali di finanziamento pubblico del teatro, cioè l'intervento statale e quello degli enti locali e in particolare dei comuni, sono diventate assai più ricche per quantità e hanno coperto gradualmente tutti i settori teatrali. Centotrenta miliardi sono venuti al teatro nell'ultima stagione dal Ministero del turismo e dello spettacolo, che è una somma nettamente minore di quella dedicata per esempio all'opera lirica, ma certamente notevole; e una quantità di denaro difficilissima da determinare esattamente ma probabilmente dello stesso ordine di grandezza è stata spesa per la prosa da parte degli enti locali. Il finanziamento si è esteso gradualmente a tutti i tipi di teatro, in un'orgia classificatoria che ha dell'incredibile; teatri "a gestione pubblica", "metropolitani", "regionali", "d'Europa", "teatri stabili privati", "cooperative", "neoprofessionisti", "centri di promozione teatrale", teatro privato itinerante e di "esercizio", circuiti, Ente Teatrale Italiano, Istituto per il Dramma Italiano, festival, riviste, associazione critici, eccetera eccetera, per un totale di quasi ottocento soggetti di sovvenzioni durante lo scorso anno. Tutto ciò è frutto del meccanicismo perverso per cui le sovvenzioni pensate più o meno ad personam, per un teatro o un piccolo gruppo di teatri (e naturalmente sarebbe giusto chiedersi cosa c'è dietro, come si giustificano davvero queste scelte "personali"), vengono tradotte nelle circolari ministeriali che reggono il teatro in assenza di una legislazione specifica, secondo "criteri oggettivi" come giornate di lavoro, capienza delle sale, percentuali di riempimento; ma questi requisiti vengono presto raggiunti e simulati da altre compagnie escluse dal finanziamento, e allora vengono ancora moltiplicati, raffinati, complicati, fino alla biblioteca di Babele. C'è stato un lungo periodo in cui funzionava una media11
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