DISCUSSIONE Maggio '68 a Parigi. zione di nomi e di percorsi che fecero del Quartiere Latino un terr~torio pron~o a ~splodere(insiemeal sindacato studen~ tesco d1 Jean-Loms Peninoue MareKravetz, e a quello degh insegnanti di Alain Geismar)è utile non solo a evidenziare l'ampiezza del campo di ricerca ma a sottolineare anche una differenza genetica fra il Sessa;totto francese e quello italiano. Ne emerg7 infatti u?a Parigi al tempo stes_so_capitaleeuropea, crocevia della cnsi definitivadel colomahsmo e dello svil~ppo del terzomondismo, luogo di preci~itazione traumatica della cultura comunista e di sinistra m genere. Ragion per cui coloro che diventerannoi dirigenti del movimento del Sessantotto, risultano esserepersone dalle biografie ricche e a~venturose,. portatrici di esperienze e consapevo_lezze senza nscontro nei loro coetanei italiani. Posso sbagliarmi, ma non mi risulta che alcun dirigente del Sessantotto italiano abbia un analogo pedigree. Non si tratta di elaborare assurde classifichenazionali su chi abbia "vissuto" più o meno all'interno della medesima generazione, ma di sfatare semmai un luogo comune assai diffuso nella sinistra del nostro paese, e riproposto con assurda enfasi campanilistica da Mario Capanna in questi giorni: il Sessantotto francese sarebbe stato solo una fiammata esauritasi nel corso del mese di maggio, mentreil Sessantotto italiano avrebbe costituito l'avvio di un'onda lunga, grazie soprattutto al "contagio" esercitato nelle grandi fabbriche. No davvero. Il Sessantotto francese aveva già posto le sue basi, e soprattutto aveva minato alle radici la cultura tradizionale e ossificata della sinistra, ben prima del biennio 1967-1968. Come giustamente sottolineano nelleloro conclusioniHamon e Rotman, piaccia o non piaccia questa generazione del Sessantotto è stata l'artefice della crisi definitiva del Pcf (mentre il P~i no~ostante t~tto trarrà vantaggipolit!ci, elettorali e istituz10nah dalla spmta del movimento italiano). Qualcuno forse resterà scandalizzato del fatto che tanti leader del Maggio, da Henri Weber a Serge July, da Roland <:;astro _a Jean_-Paul Besset, per non parlare di Régis Debray, siano d1venut1consulenti di FrançoisMitterand o comunque alti funzionari dell'establishment di governo socialista. Ma pure questo è avvenuto perché il nuovo Ps di Mitterand assomiglia ormai piutt?sto un apparato tecn~cratico rifor~!- sta che non a un partito socialista essendosidavvero defm1t\vamente consum_at~,in Francia, ~eglianni Settanta, la preesistente cultura d1 smistra. Qui da noi è avvenuto il contrario, i vecchi valori e soprattutt? i vecchi modi di far politica si sono riconfermati egemoni, lo stesso processo di cooptazione nelle stanze del potere di leader del Sessantotto è stato assai più limitato. In Italia il quotidiano "Lotta continua" è morto in un tempo in cui "Repubblica" veniva considerata un giornale di sinistra. In Francia un giornale similea queitempi a "Lotta con-· tinua"_, e semmai ancor più malandato, "Libération", ha avuto 11successo che sappiamo E rton esiste nessuna "Repubblica". · Le ragioni per cui questo nostro ventennalenon è onorato 10 da alcuno sforzo di ricerca paragonabile a quello che stadietro a Génération, sono certo varie e complesse 1 non ultimo il fatto che i nostri anni Settanta sono stati insanguinati dal terrorismo. Ma il vuoto resta, e anche un po' d'invidia. TEATROD'EMERGENZA Ugo Volli Si può parlare oggi di emergenza per il teatro italiano? Certo che si può, probabilmente anzi si deve, per parecchie ragioni. In un primo senso, che forse può riuscire un po' troppo generico e tranquillizzante, ma va citato in ogni caso perché è un "segreto" importante di per sé, l'emergenza è uno degli ingredienti fondamentali per un'arte tanto economicamente e socialmente improbabile come il teatro, per un'attività che cioè ha sempre bisogno di ritrovare in se stessa le proprie ragioni di vita per non sparire. Da sempre (ma proprio da sempre, cioè da secoli, dall'inizio del teatro professionistico in Europa) più o meno tutte le compagnie teatrali si formano e si reggono in emergenza, senza garanzia economica di continuità, in uno stato civile ambiguo ed emarginato. La pratica disinvolta dell'emergenza, cioè l'arte di arrangiarsi e di andare avanti trovando un rimedio ai problemi via via che si presentano, improvvisando in scena come nell'econom_iae nella politica, è la base di quell'atteggiamento diffusissimo che Sergio Tofano ha chiamato "guitteria" nel suo libro sul "teatro all'antica italiana". Bisogna notare però che questo modo di produrre e di sopravvivere non è legato a un'improbabile essenza del teatro, ma al modo storico concreto di sviluppo del teatro italiano, cioè alla compagnia di giro, priva di stabilità geografica, economica, giuridica. In questo sistema è quasi sempre di emergenza, in particolare, il processo di costruzione degli spettacoli teatrali, cioè quel sistema di prove ancora molto piu artigianale, e molto meno programmabile delle riprese di un film, dove il tempo di lavoro appare quasi per definizione insufficiente e in qualsiasi fase l'approfondimento pare allo stesso tempo necessario e impossibile, dando luogo a infinite utopie laboratoriali, quasi mai perseguite sul serio. Una storia interna del lavoro teatrale - poco nota per il presente e pressoché dimenticata per il passato - mostra poi come spesso gli ingredienti di
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