Linea d'ombra - anno VI - n. 24 - febbraio 1988

LEJOLIMAI Gad Lerner Le celebrazioni del Sessantotto, di cui francamente già a gennaio si comincia a non poterne più, rappresentano un tipo d'anniversario del tutto particolare. Si tratta infatti solo di un ventennale (non di un centenario o di un cinquantenario), che per giunta riguarda un evento decisivo nella formazione culturale e nell'immaginario di decine di migliaia di persone quarantenni che di quell'evento, a torto o a ragione, si considerano protagoniste. Non posso ricordare se un analogo coinvolgimento emozionale si fosse verificato fra le decine di migliaia di ex-partigiani quarantenni nel 1965, cioè nel ventennale della Liberazione. Ma ne dubito, se non altro perché allora non poteva esistere un analogo, ridondante effetto di richiamo promosso dai mass media. Tra le prime conseguenze di cotanto business, è possibile indicare due sindromi. La sindrome raduno degli alpini. Cioé lo spasmodico sogno cameratesco di ritrovarsi insieme a ricordare il bel tempo che fu, manifestatosi non solo nel pur legittimo desiderio degli occupanti di Palazzo Campana a Torino e di Sociologia a Trento di ritrovarsi negli stessi luoghi vent'anni dopo. Tale spasmodico bisogno si è manifestato anche in forme più private, talvolta patetiche: feste corredate di torta con venti candeline, telefonate a "Radio popolare" affinché l'emittente milanese convocassei reduci di notte in largo Gemelli, di fronte alla Cattolica, "ciascuno con una bottiglia di vino in mano" (sic). La sindrome di esclusione. Ogni rievocazione giornalistica ha citato dei nomi di protagonisti ma, ovviamente, ne ha omesso parecchi altri. Ebbene, posso testimoniare che ne sono derivati autentici casi di sofferenza, quasi che la mancata citazione scritta cagionasse una sorta di deprivazione, di torto subìto. Inevitabile che queste sindromi si manifestassero, nell'ambito di una celebrazione _essenzialmentedi tipo emozionale e spettacolare. Ciò che di per se stesso rende opportuno rinviare a dopo, in anni non contaminati dal culto dell'anniversario, qualsiasi riflessione critica sul Sessantotto e soprattutto sui percorsi generazionali che da lì si dipartirono. Si ripropone semmai il non nuovo interrogativo sul perché ancora nessuno in Italia abbia prodotto un'analisi, una storia, quanto meno una cronaca attendibile e documentata su di un periodo cruciale come quello che dal Sessantotto conduce, con continuità e rotture al suo interno, sino alla fine degli anni Settanta. Per capirci qualcosa, forse vale la pena di citare un buon esempio straniero. Un bel libro francese. Anzi, due libroni pubblicati da Hervé Hamon e Patrick Rotman presso la casa editrice Seui! sotto l'unico titolo di Génération, e con i due sottotitoli di Les années de réve (Gli anni di sogno) e Les années de poudre (Gli anni di polvere), di cui DISCUSSIONE già si comincia a intuire l'intenzione indicando il numero complessivo di pagine, milletrecento, corredate di cronologia e di biografia dei protagonisti. Le tesi di Hamon e Rotman possono piacere o non piacere (qualcuno vi potrà rintracciare la peraltro diffusa distinzione fra un Sessantotto buono e gli anni Settanta cattivi). Lo stile narrativo, così tipicamente francese, potrà forse essere giudicato frivolo (è un fatto però che le milletrecento pagine si lasciano leggere assai più in fretta di certi più smilzi libretti nostrani sul medesimo argomento). Eppure non ci si può che levare il cappello di fronte alla mole e all'interesse del materiale documentario raccolto, e soprattutto di fronte alla scelta giusta di seguire il percorso generazionale dei protagonisti del Maggio fin dalla loro prima formazione politicoculturale risalente alla fine degli anni Cinquanta. Incontriamo così, per esempio, un Alain Krivine adolescente comunista alle prese con il crollo di Stalin nel 1957, ne seguiamo l'impegno clandestino fra i porteurs de valises (cioè i militanti che in disobbedienza alle direttive del Pcf offrivano supporto logistico alla lotta del Fnl algerino), per poi convertirsi rocambolescamente al trotzkismo praticando l'entrismo nel partito e successivamente, espulso nel 1966, fondare la Jcr aderente alla IV internazionale. Seguiamo la battaglia di Pierre Kahn e degli altri giovani comunisti soprannominati /es italiens contro la direzione stalinista di Maurice Thorez e dei suoi successori al vertice del Pcf, fino alla crisi dell'Unione degli studenti comunisti. E poi ancora il contributo di giovanissimi come Serge July, innamorati della cultura yè yè, alla nouvelle vague dell'intellettualità parigina; la deludente esperienza di Tiennot Grumbach e altri studenti stabilitisi ad Algeri nei primi anni dopo la liberazione; gli altri loro compagni volati nel'64 fino ali' Avana per fare la conoscenza diretta di Fide! Castro e di Ernesto "Che" Guevara; Robert Linhart e i primi seguaci del marxismo critico di Louis Althusser. .. Potrei continuare a lungo, ma qui mi preme solo sottolineare ancora l'altra componente che nella narrazione di Génération assume un peso rilevante: l'afflusso a Parigi di numerosi ebrei, perseguitati nell'Europa orientale, i cui figli - sradicati e scossi dall'esperienza familiare - figureranno numerosi nel gruppo dirigente della rivolta. Due nomi per tutti: il polacco Pierre Goldman, impulsivo e disperato, che lascerà le barricate del Maggio per la guerriglia in America Latina e, prima di finire ucciso nel settembre 1979, farà anche il rapinatore, e Michèle Firk, accorsa subito nel 1968nelle file della guerriglia in Guatemala, e morta suicida per sfuggire alla cattura da parte dei militari. Senza dimenticare gli altri fuggiaschi, Tony e Benny Levi, ebrei apolidi emigrati dall'Egitto, che daranno vita alla strana esperienza maoista spontaneista della "Gauche Proletarienne", il secondo dei quali, Benny, con lo pseudonimo di Pierre Victor, sarà poi fra i più stretti collaboratori di Jean Paul Sartre e fra i fondatori di "Libération". Questa mia disordinata e largamente incompleta elenca9

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