Linea d'ombra - anno VI - n. 24 - febbraio 1988

DIKUSSIONI lamentarsene? Vediamo. lo, per esempio, appartengo a una generazione che ha sempre giudicato umiliante il fatto che in Italia si vendessero pochi giornali: per quanto riguarda in particolare i quotidiani, per mezzo secolo e fino a cinque o sei anni fa, gli indici di lettura erano quasi da Terzo Mondo. Che i quotidiani cominciassero un giorno a scoppiare di salute, come oggi appare, è stato a lungo impensabile; che arrivassero a pesare mezzo chilo e si riuscisse a stento a maneggiarli - come accadeva e accade, la domenica, a certi loro illustri e invidiatissimi confratelli americani - non rientrava nel novero delle speranze realistiche o sensate. A non compiacersi per il 'nuovo corso' si rischia dunque di passare per incontentabili. Eppure ... " Ed ecco la tempesta del dubbio in un bicchiere d'acqua. La malinconia di capodanno, la lacrima natalizia, tutte cose che lasceranno ben presto il tempo che hanno trovato: "Eppure, quando in cinquanta giorni si avvera ciò che si aspettava da cinquant'anni, certe perplessità sono spiegabili. Si affaccia il timore, o soltanto l'ipotesi, che non si tratti di un'evoluzione fisiologica, ma di un boom con tutto l'effimero che il termine comporta. La contemporaneità con la febbre dell'audience televisiva può far pensare che anche per i giornali ci si avvicini a quel confine oltre il quale la concorrenza non esalta la qualità dei prodotti. Si scrutano i casi in cui un supplemento fa concorrenza allo stesso quotidiano che lo offre: gli argomenti non sono inesauribili, replicarli all'infinito può produrre nel lettore una reazione di sazietà, frastornarlo, nuocere al suo istinto selettivo. E può inoltre predisporlo alla nausea l'invadenza frenetica delle pubblicità, inevitabile e crescente per alimentare il boom ... L'eccesso di pubblicità sminuzza gli articoli, qualche volta ne rende faticosa la lettura. Non ci si sogna qui di mettere in dubbio il ruolo della pubblicità nella vita dei giornali. Sarebbe insensato, donchisciottesco. Va tuttavia registrato che il 'troppo' rischia di offendere". Espressioni notevoli ce ne sono in questo pezzo. Per esempio: "È il caso di lamentarsene?": l'autore qui evidentemente capisce che sta lamentandosi (o rischia di lamentarsi), ma non può ammetterlo. Non si rende conto che, se Ribellarsi è difficile, almeno Lamentarsi sarebbe giusto. Ma l'interrogativo, se sia o non sia, infine, il caso di lamentarsi davvero, rimane un interrogativo senza risposta. Il lettore che volesse sapere da Ajello se può lamentarsi di "Repubblica", dei suoi inserti e supplementi, con l'autorizzazione di "Repubblica", rimane deluso, perché non lo saprà mai. "Si rischia di passare per incontentabili": ma rischi pure, Ajello. Corra questo rischio. Si faccia accusare ingiustamente dai suoi amici e colleghi. Pianga, non si vergogni. Anche un virile giornalista laico e progressista può piangere, una volta. È evidente che Lei lo desidera sinceramente. E allora non inibisca, non reprima i suoi umori. Tanto con i maligni non c'è niente da fare. Se qualcuno vorrà accusarlo di Terzomon8 dismo e di Pauperismo perché si augura, per un mese solo, dei giornali più poveri e più spogli, pazienza! Certo, è un rischio. Ma bisogna rischiare. "Eppure, quando in cinquanta giorni si aveva... ": Proprio così. Si tratta di quelle che Truman Capote avrebbe definito "preghiere esaudite". Non c'è niente che chiarisce meglio le idee ai sognatori che la realizzazione dei propri sogni. Gli "invidiatissimi" (da chi? da Ajello? da Scalfari?) giornali americani che pesano un chilo, li abbiamo anche in Italia, finalmente. Ajello pensa che solo per questo non si possa più deplorare il Terzo Mondo e sognare l'America? Per così poco vorrebbe ad un tratto cambiare mentalità e vita? Vuole diventare Perplesso e meno Democratico? "Si affaccia il timore, o soltanto l'ipotesi ... ": insomma, il timore o l'ipotesi? O un'ipotesi che fa timore? Bisogna avere il coraggio dei propri timori, non Le pare? " ... un boom con tutto l'Effimero che il termine comporta". Si teme un boom? Si diffida dell'Effimero? È o non è, Nello Ajello, uno dei protagonisti dell' "Espresso", il più criticamente effimero dei settimanali italiani, sempre intrepido, in fatto di pubblicità, di mode, ecc. "La febbre dell'audience televisiva": ma questa febbre non è solo televisiva. I giornali, primo fra tutti quello sul quale scriveAjello, questa febbre della loro audience ce l'hanno sempre avuta alta. La "Repubblica" non fa che pubblicare pubblicità nella quale si compiace dell'aumento della propria audience, cifre alla mano. " .. .quel confine oltre il quale la concorrenza non esalta la qualità dei prodotti": è il cuore teorico e copernicano di tutto il testo. Niente da aggiungere, è proprio così. La concorrenza peggiora i prodotti, e il confine o la soglia in cui questo avviene è già stata superata, almeno nel mondo della televisione e dei giornali. Basta confrontare fra loro il "Venerdì" di Repubblica e l' "Espresso". Si fanno concorrenza in famiglia e non smettono di peggiorare. "L'eccesso di pubblicità sminuzza gli articoli, qualche volta ne rende faticosa la lettura": ed è vero. Tutti lo sapevano, lo dicevano, lo ritenevano insopportabile: anche perché non avviene "qualche volta", ma sempre o quasi sempre. Sfogliare " L'Espresso" è un'esperienza demenziale. "Non ci si sogna qui di mettere in dubbio il ruolo della pubblicità nella vita dei giornali. Sarebbe insensato, donchisciottesco" e poi direttore e colleghi, se Lei, Ajello, si sognasse di mettere in dubbio una cosa simile, gliela farebbero vedere! Ma allora, però, di che cosa abbiamo parlato finora? E il "troppo" offende davvero, "stroppia" (come si direbbe, ma Lei non dice), o "rischia" solo di offendere? Ajello ha rischiato di sfiorare un argomento interessante. Stava per correre il rischio di sognarsi di mettere in dubbio insensatamente e donchisciottescamente il ruolo della pubblicità nella vita dei giornali. Ma poi niente. È rimasto solo Perplesso, non si sa più di fronte a che cosa. Quante storie! Come non detto. Era solo un articolo di giornale, dopo tutto! Meno di niente.

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