Linea d'ombra - anno VI - n. 23 - gennaio 1988

DISCUSSIONE "Non è esistita nel passato un'età dell'oro della totalità, della comunità, della fede. È esistito invece, ed è stato dominante nella cultura del novecento, il totalitarismo." hanno bisogno di date e luoghi per dare senso ad affermazioni sulla società. Mi riesce difficile rimpiangere le possibilità mitopoietiche insite nella irraggiungibilità geografica dei luoghi presi a esempio e guida (Cina, Russia, Vietnam, Cuba; p. 89) che del resto erano visitabili facilmente anche venti anni fa. Sono di quelli che distinguono i fatti sociali dalle teorie sulla società e hanno un definito interesse alla diffusione geografica delle teorie e delle culture. Sono quasi totalmente diverso dall'autore. Qui farò un breve elenco dei dissensi maggiori. Dissento dalla costruzione artefatta di un passato di libertà, di piena individualità e comunità rispetto a cui si manifesterebbe la crisi attuale (e recente, perché la maggior parte degli esempi non sarebbe valida per l'Italia degli anni cinquanta e sessanta). " ... è scomparso il soggetto dell'esperienza ... , essendo ormai l'esperienza fatalmente racchiusa nel cerchio delle molteplici possibilità che sono date all'interno delle strategie di1 azione messe a disposizione dal sistema sociale e giuridico", sostiene l'autore. lo fatico a immaginarmi un'epoca o un luogo in cui questa affermazione non sia stata vera, salvo l'ovvia minore ampiezza delle "molteplici possibilità" che per alcune classi sociali ed epoche poteva restringersi alla possibilità di morire di guerra o di fame. Come del resto accade ancora oggi in buona parte del mondo, in cui sarebbe difficile sostenere che il valore d'uso si sia dissolto in valore di scambio come l'autore sostiene per varie pagine soprattutto nel terzo capitolo, sulla scia di Gianni Vattimo. "Nell'epoca nella quale la critica più corrosiva ad ogni principio di autorità ne ha svelato la mancanza di ogni fondamento metafisico e di ogni legittimità trascendente, è inevitabile che anche l'ordine sociale appaia contingente e artificiale, privo di qualsiasi riferimento a un ordine naturale iscritto una volta per tutte nell'armonia del cosmo". Certo, ma è una scoperta un po' antica, con cui gli uomini sono abituati a convivere da vari secoli. Senza scomodare addirittura Socrate ·e Antigone, anche Ibn Kaldoun e Machiavelli lo avevano capito. E non necessariamente l'averlo capito porta al caos; alle belve umane o alle belve bionde. Le etiche universalistiche, storiche e kantiane, sono un prodotto di uomini che sanno che "ogni comando è per sua natura arbitrario" e che perciò hanno inventato i sistemi politici rappresentativi, e le autorità delegate e gli equilibri dei poteri. L'alternativa che si apre agli uomini è un po' più complicata di quella tra il principio del capo o la religiosità astratta dello stato o la società segmentale e il caos della guerra di tutti contro tutti. " ... l'autonomia dell'economico su cui si regge la modernità non è un fatto naturale (come ce l'hanno rappresentata i primi pensatori) ma il prodotto di una decisione politica, della scelta politica di dar vita a una società nuova". Certo, l'autonomia dell'economico non è un fatto naturale. Ma se "i primi pensatori" sono l' Adam Smith della Teoria dei sentimenti morali e della Ricchezza delle nazioni e colleghi circonvicini, non hanno provato affatto a raccontarci la favola Biblioteca Gino Bianco della separatezza, del resto sempre solo parzialmente vera, anche nel pieno trionfo dello "individualismo proprietario", ma hanno cercato di ritagliare una sfera concettuale che consentisse una qualche oggettività e quindi una qualche uguaglianza e simmetria. Può esserci molta oppressione, c'è stata molta oppressione e molta morte in nome degli stati etici e delle comunità. Come ce ne sono state in nome del profitto, del resto; da cui un secolo e mezzo di movimenti socialisti, che qualcosa hanno pur prodotto. L'esistenza di una sfera di diritti, la possibilità di nop regolare i rapporti solo sulla parentela e sulla forza sono una faticosa costruzione. Occorrerebbe rispettarne i fondamenti. Lo stesso Polanyi, citato dall'autore quasi come unica fonte sulla necessità di riimmettere la politica nell'economia in forme più flessibili del dominio totale dello stato pianificatore, è stato un calcolista. Ha proposto forme di contabilità del socialismo gildista (la libertà in una società complessa) ed è stato alla fin fine battuto sul suo terreno da altri che teorizzavano il rinnovato dominio della politica con valori e principi opposti ai suoi. Giovanni Gentile, Alfredo Rocco e Ugo Spirito hanno scritto qualcosa in materia. Il trattato di Ugo Spirito, allora direttore della scuola di economia corporativa a Pisa, sul suo specifico soggetto comincia con una irridente e polemica presa di distanza rispetto all'artefatto della separazione dell'economia dalla politica e dallo stato. Odon Por, che di Polanyi era parente e sodale, prima di approdare in Inghilterra, ha scritto articoli finiti in qualche antologia del pensiero fascista. "In casi estremi della nascita e della morte, che prima sembravano avvenimenti del tutto privati, nel senso dell'individualità e dell'intimità, oggi sono oggettivati e regolati sin nei dettagli" ci spiega l'autore. Ariès (Storia della morte in occidente) non la pensa proprio così e presenta la privatizzazione della morte come un fatto eminentemente moderno. Né la pensava diversamente l'Ernesto de Martino di Morte e pianto rituale nel mondo antico. Del resto nell'Abruzzo dove sono nato la ritualità pubblica della morte ha retto ben dentro gli anni cinquanta, forse anche negli anni sessanta e settanta. Potrei dire che, per via della natura profonda di queste cose, che difficilmente si lasciano rivedere per letture e studi, qualcosa di quella concezione arcaica del morire ce la devo avere anch'io in testa e, per quanto mi riguarda, forse durerà fino a che anch'io finirò in polvere. Un ultimo dissenso, in certo modo minore, ma tuttavia fondamentale. Fin dalla prima pagina dell'introduzione l'autore ci avverte: "Non c'è più storia, non c'è motore, il processo è ormai - come si afferma anche in campo marxista - un processo senza soggetto né fine". Per la verità se il processo è oggi senza motore, per l'autore citato, Althusser, lo era anche ieri. Né ad Althusser né a Barcellona dovrebbe essere consentito di passare così disinvoltamente dai concetti alle cose, dalla teoria dei processi ai processi. Se "la democrazia nega la possibilità di una volontà collettiva che assoggetti i singoli e che sia diversa dalla loro volontà", come sosteneva Kelsen, citato a p. 62, è vero perché ha la data 7

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