STORIE/BERRINI "Sul bus siamo rimasti in pochi, e tutti scendono all'ultimo villaggio. L'autista si volta verso di me: . L'Uganda è là, mi annuncia. Torna in Tanzania quando vuoi." la sua bellezza, la fa salire. Magari fa l'amore con lei. Però si spaventa: guardando bene si vedono le sue zampe da capra. E spaventa: guardando bene si vedono le sue zampe da capra. E quando lei scende non tocca la portiera che si apre e si richiude da sola. Poi la beautiful lady scompare". Voi l'avete mai vista? No, ma hanno sentito dire di qualcuno che l'ha vista. E a questo punto il nostro colloquio finisce, all'improvviso sembrano quasi annoiati, si alzano, dicono di avere da fare, non hanno piu tempo per me. Mi accompagnano giù per le scale, passo davanti agli uffici di alcuni fra gli uomini piu importanti di Tanga, le autorità piu potenti: vedo ventilatori, radioline, anche un condizionatore, e lampadine da tavolo accese anche a mezzogiorno. Sull'ingresso saluto i due funzionari, ci scambiamo gli indirizzi. E mi arriverà una lettera un anno dopo, qualche novità da Tanga: fra l'altro, racconta che il viale alberato sul quale io non avevo osato andare a cercare la beautiful lady oggi è illuminato da una fila di lampioni al neon, e che la squadra di calcio è seconda in classifica. Frontiera Nella primavera del 1979 l'esercito ugandese di Idi Amin attraversò la frontiera con la Tanzania, e in pochi giorni di marcia raggiunse il fiume Kagera, arrestandosi davanti ai resti dell'unico ponte che lo attraversava, che nel frattempo i tanzani avevano fatto saltare. Non era questo il motivo del brusco arresto dell'avanzata delle truppe ugandesi, che fino ad allora non avevano incontrato restistenza: nella regione c'era solo una piccola guarnigione, ed è noto che il governo tanzano impiegò piu di un mese per inviare il suo esercito lassù, nell'estremo nordovest del paese. Gli ugandesi si fermarono sul Kagera perché quello era il loro compito: liberare - così diceva Amin - quella striscia profonda sessanta chilometri che a loro parere era da considerarsi ugandese. Il confine andava ristabilito sul fiume Kagera. Ora, è cosa nota che tutti i confini di stato africani sono assolutamente arbitrari, risultato della spartizione del continente in sfere d'influenza da parte delle potenze coloniali. Ed è principio comune, stabilito anche dall'Organizzazione per l'Unità Africana, che questi confini non debbano più essere messi in discussione, pena il nascere di una conflittualità continua. L'attacco di Amin appariva fuori da ogni logica anche perché non era stato preceduto da rivendicazioni della regione. E apparirà ancor piu illogico quando l'esercito ugandese si sbriciolerà a fronte della controffensiva tanzana, che porterà in meno di un mese l'esercito di Nyerere fino a Kampala, a deporre lo stesso Idi Amin. Erano probabilmente gli ultimi spasmi di un regime in agonia, un regime feroce che aveva dissolto ogni spirito unitario in un paese che oggi, anni dopo la guerra della Kagera , viene ancora definito come il Libano d'Africa. liotecaGino Bianco Ma la guerra contro Idi Amin, l'unica nella storia della Tanzania e l'unica guerra di occupazione approvata dall'OUA in quasi trent'anni, rimane come un'epopea per tutti i tanzani. Quando a Dar spiegavo la mia intenzione di attraversare quelle regioni, ai miei interlocutori brillavano gli occhi: si narravano imprese leggendarie, e si ricordava con orgoglio come l'esercito di Nyerere avesse in dotazione anche un vero carroarmato. Insomma, andavo lassù dove la Tanzania si era fatta onore nonostante la sua arretratezza e povertà, e aveva sconfitto un nemico piu potente perché il coraggio e lo spirito democratico dei soldati tanzani si era dimostrato più forte della crudeltà del dittatore Idi Amin. E questo lo dicevano tutti, a Dar, anche i nemici del regime di Nyerere. Il nuovo ponte sul Kagera segna l'ingresso nella regione dove si combatté la guerra. Il bus che arriva da Bukoba si ferma qui, mi invitano ad attraversare il ponte a piedi, ho lo zaino in spalla e spero che nessuno mi prenda per un mercenario. Infatti il soldatino in fondo al ponte ferma solo me, mi chiede i documenti, vuole che apra lo zaino. La piogge~ rella fine si cambia però in uno scroscio violento, lui guarda il cielo un po' imbarazzato, io chiudo in fretta lo zaino mostrandomi più preoccupato per l'acqua che per il suo fucile. Corriamo insieme verso una piccola garitta. Il mio "mvua mkubwa" - tanta pioggia - basta a farlo sorridere. Non è più un soldatino. Quando gli spiego dove vado si preoccupa per me: l'autobus parte subito, aspetta i passeggeri solo qualche minuto, è meglio che mi affretti. Di corsa sotto l'acqua arrivo a una pensilina dove il bus è già pieno e col motore acceso. Gli ultimi passeggeri stanno salendo: hanno fatto un sommario controllo dei documenti perché qui è già dogana, anche se al confine vero mancano piu di quaranta chilometri. Quando arrivo, i due doganieri, un uomo e una donna. mi guardano perplessi, lei mi dice, "Oh, non sei Tanzano!". No madam, mi spiace. E allora devo aprire lo zaino anche qui: intuisco che come sempre devo farlo piu per soddisfare la loro curiosità che per qualche norma di frontiera. Ma l'autista suona .il clackson nervoso, e il bus già si muove lentamente. Rifacciamo insieme, in fretta, lo zaino, perché questo autista sembra avere piu autorità dei doganieri. Mi chiedono quanti scellini tanzani ho in tasca. So che c'è un massimo che si può esportare, so anche che nel mio portafogli ce ne sono centocinquanta. Glielo dico. I doganieri mi guardano sconsolati, infrango le norme valutarie - il tetto era cento - lo comunicano all'autista del bus come se lui potesse farmi la grazia. Ma l'autista è inflessibile, scuote la testa, chiude la sua porta e avvia il mezzo. Grido che no, sono solo centocinquanta, se vogliono posso lasciare a loro il sovrappiù, una specie di multa. Lo grido ai doganieri, ci parliamo gettando rapide occhiate all'autobus che lentamente si rimette in strada, l'autista mette la testa fuori dal finestrino, fa un gesto verso di noi come dire "e allora?". Prendo tutti i centocinquanta, li lascio sul tavolo e corro verso il bus, ma la donna doganiere mi chiama, 77
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