Linea d'ombra - anno VI - n. 23 - gennaio 1988

FRONTIERE Andrea Berrini Tanga Tanga è il secondo porto della Tanzania, dopo Dar es Salaam. I tedeschi avevano valorizzato la cittadina costruendo un tronco ferroviario che si spingeva su verso nordovest e seguiva il rilievo delle Pare e Ujambara Mountains fino a toccare le pendici del Kilimanjaro, alte terre fertili coltivate in modo intensivo - caffè, canna da zucchero - così come le pianure alle spalle di Tanga, dove erano alcune delle più grosse piantagioni di sisal dell'intero Tanganika tedesco. Nell'economia dell'intera area estafricana, il porto di Tanga aveva allora un'importanza maggiore di quanto non succeda oggi: la linea ferroviaria è stata da tempo congiunta al tronco principale, quello che collega i grandi laghi Tanganika e Vittoria a Dar es Salaam, passando per gli altipiani centrali. La rada di Dar finisce così per diventare la destinazione anche delle merci che provengono dal nord, benché il congestionamento del porto, che aspira da sempre a una collocazione di rilevanza continentale, faccia parlare della stessa Tanga come di un'alternativa possibile, Ma i dock, le grandi gru di Dar,· le petroliere che accedono al terminale chilometri al largo sono ancora solo un futuro possibile per il tranquillo porto di Tanga, dove le navi ancorano al centro della baia e vengono scaricate con lentezza su poche chiatte che attraccano a banchine di dimensioni ridotte. Eppure il golfo sembra avere una vocazione naturale a un ruolo più importante: la costa è alta, si affaccia sull'acqua a venti o trenta metri di altezza e la scarpata che scende al mare è indice di acque profonde, anche se al centro della baia sta una piccola isola bassa, coperta dalle mangrovie così come l'altro lato del golfo, su a nord, in lontananza. La città si sviluppa due o trecento metri all'interno, le vie che s'intrecciano regolari intorno a un grande spiazzo centrale un tempo occupato dal mercato, ora da uno stadio per il football. Sul mare si affaccia così una sorta di terrazza occupata solo in parte da edifici isolati, tutti di una certa importanza come la vecchia prefettura tedesca, ora sede dell'amministrazione comunale e distrettuale, una caserma, o il grande albergo della città che utilizza la terrazza come giardino per gli ospiti, con un baobab in primo piano rispetto alla splendida vista del golfo, splendida ed evocativa quando gli imponenti cargo colorati vi stazionano in attesa, in silenzio. Arretrata rispetto a questi edifici corre una strada - un viale alberato - che fa da asse di scorrimento e congiunge direttamente la pista per Pangani a sud e quella che corre a nord lungo la costa fino al confine col Kenya. È questo viale a rendere famosa Tanga in tutta la Tanzania: si dice sia abitato dagli spiriti. In città c'è un ufficio della Tanzania Tourist Corporation, ente turistico di stato. Ci vado subito per raccogliere qualche informazione sulle sorgenti sulfuree a nord della città e sulle caverne di Amboni. Dopo qualche scambio di battute con una impiegata, una ragazza nera con la solita camicetta bianca da scolaretta, butto lì la mia domanda: "Ci sono spiriti nelle caverne?". liotecaGino Bianco La ragazza spalanca gli occhi, sorpresa, imbarazzata. Si guarda un attimo attorno come per vedere se qualcuno ha sentito. Risponde ridacchiando, "Oh no, è da tanto che non ci sono più spiriti nelle caverne di Amboni." "Non ci sono più?" "Beh, sai com'è, ormai tutti vanno a scuola, e ormai sono tutti musulmani o cristiani, nella Tanzania moderna non ci sono spiriti." Ridacchia ancora e si guarda ancora attorno. Io cerco di andare avanti: "Allora c'erano qualche anno fa?" . ''Oh,'' dice, ''in passato era diverso, e anche la gente era diversa." Poi cambia discorso, facendosi seria, come una qualunque impiegata allo sportello. Non riesco più a riportarla sull'argomento, ogni volta che ci provo sorride, è imbarazzata come se le stessi facendo la corte. Arrivo alle caverne Amboni con due ragazzi di Torino, lui e lei, molto interessati alle mie storie di spiriti. Ci raggiunge un giovane nero in bicicletta con una casacca blu stinta che ricorda una divisa, dice di essere la guida, si fa pagare in anticipo e ci fa entrare. Le caverne sono tre o quattro antri in successione, vasti, dalle pareti lisce. I piu interni sono illuminati da lampadine elettriche che il ragazzo ha acceso da un interruttore all'entrata. Non c'è traccia di aperture nella roccia che indichino un qualche proseguimento delle caverne. È tutto qui. I due torinesi mi spingono a chiedere qualcosa al ragazzo, che parla solo swahili. E allora: "Ci sono spiriti nelle caverne?" "Hapana," è la risposta semplice e definitiva. No. Non ho altre domande. Ci allontaniamo lungo un fiumiciattolo che dovrebbe essere abitato dai coccodrilli. Anche di questi non c'è traccia. Tanga è una città accogliente, i viali alberati, il mare da guardare. È facile trovare un baretto dove sedersi, bere un succo di frutta. È anche una città ricca: un cooperante scandinavo ci parla delle piantagioni di sisal, di come la zona sia adatta, dei problemi della conduzione burocratica di queste fattorie di stato. I torinesi mi piacciono, si interessano al paese, viaggiano fuori dai circuiti turistici e sono le persone giuste da incontrare in una cittadina così. Parliamo un po' di religioni tradizionali, del rapporto con cristianesimo e islam. Hanno per gli spiriti un interesse abbastanza preconcetto, un'idea molto europea degli spiriti africani, magia e feticci. L'Africa sembra essere un punto fermo del loro immaginario: il luogo del mistero, la faccia nascosta della nostra razionalità. Io penso alla ragazza della Tanzania Tourist Corporation che rideva, alla guida di Amboni che concedeva così poco al mistero. Ho avuto per amico, in Tanzania, il figlio ventenne di una importante personalità politica del paese. Venne in Italia a studiare e me li ricordo, lui e un altro ragazzo nero, davanti al camino acceso di una casa di campagna in Piemonte. 75

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