STORIE/GIUDICI L'ex campione Tra la signora che commenta ingiuriosamente ogni tuo gesto, ogni tua lettura con frasi cariche d'allusione rivolte al giovanotto che la felice coincidenza ha fatto scoprire suo concittadino, cittadino d'una plaga celebre per i suoi formaggi, e il giovanotto, appunto, che viaggia verso una ridente località di mare portandosi nelle capaci valigie di vitello, polli, farinacei, uova della sua plaga: "perché da quelle parti non si sa mai quel che danno da mangiare", chi ti rimane per rompere il silenzio o l'estenuante litania delle ruote se non l'ometto dimesso, dalla cravatta consumata, dal colletto spiegazzato, come te schivo e destinato a perpetua minoranza? "Eppure, signore non fu sempre così": tu avevi sorriso, con simpatia, mentre lui ammiccava con lo sguardo e il gesto della mano, quasi a chiedere scusa, a giustificarsi (e di che?), quando un po' di fumo attraverso lo aveva costretto a tossire e a ritossire. "Trent'anni fa giocavo terzino sinistro nella squadra della mia città. Ci compravamo tutto da soli: maglia, calzoncini, parastinchi, calzettoni, scarpe. Ricco chi poteva permettersi anche le cavigliere. Per andare in trasferta ci pagavano il biglietto in terza classe: se vincevamo, si andava tutti a bere la sera, qualche volta c'era chi pagava". Gli rispondi (e come non farlo? È ciò che vuole, che ti aspetta) lamentando lo stato attuale, parli di dilettantismo e di professionismo, domandi a tua volta: "Ma dove finiremo di questo passo?" E lui scuote il capo, ma sorride per sentirsi, dopo tanto, così vezzeggiato. "E - continua - giocavo bene, sa? Quando mi trasferii a Milano per trovare un impiego, fu T... (fa il nome di un celebre campione) che volle a tutti i costi farmi provare per la sua squadra. Ma proprio nell'ultima partita avevo preso un calcio, qui, vede (si tira su il pantalone, scopre una gambetta ormai magra e bianca), proprio al ginocchio ... Non era niente, avrei dovuto operarmi di menisco; ma gli dissi, a T... , gli dissi: "No, guarda, lascia perdere; operazioni non me ne faccio". Oggi se la fanno tutti l'operazione al menisco; ma allora sembrava una cosa tanto grossa". A questo punto non si sa più che dire. Ma (niente paura) l'ometto è ormai rinfrancato, troppo sicuro si sente della tua attenzione. "Passai - prosegue - al ciclismo. Avevo trovato una ragazza dalle parti di Bergamo e tutte le domeniche andavo a trovarla: centoventi all'andata, centoventi al ritorno. In tutto duecentoquaranta chilometri con qualche pezzo di salita: ci mettevo, andare e venire, otto ore quando ero in forma. Così mi venne l'idea di correre anche in bicicletta". Per il calcio c'era stato il menisco di mezzo, per il ciclismo, dopo che lui aveva vinto una corsa per indipendenti e si era piazzato in un'altra e ne aveva disputato in tutto una dozzina, ci fu l'investimento di un tram. "Vede la disdetta, signore. Proprio mentre stavo avviandomi alla partenza di una corsa che sembrava fatta per me, su misura. - Se la vinci - mi aveva detto uno molto in alto liotecaGino Bianco - ti faccio fare subito un bel contrattino. - Invece, il tram me lo fece lui il contratto: la gamba mi tornò a posto, sì, ma vede?". Altra esibizione: non la gamba di prima, ma l'altra; unalunga, rozza cicatrice tra tibia e muscolo. Che cosa puoi fare, se non scuotere il capo ancora una volta davanti alla giovanile scalogna dell'interlocutore? "In bicicletta ci vado anche ora, qualche volta; ma le corse, capirà bene ... Rimasi all'ospedale quasi tre mesi e fortuna che pagò tutto l'azienda dei tram. Anzi, mi diedero anche dei soldi; se ne interessò quello che mi aveva promesso il contratto, che era anche avvocato." Il racconto prosegue: alle gesta sportive si frappone un intermezzo commerciale: "Con quei soldi e con una piccola liquidazione che realizzai lasciando l'impiego mi misi su un negozietto di merciaio: e ci vivo... Ma in me era sempre grande la passione per lo sport e, non potendo giocare al calcio, non potendo diventare ciclista, cercai qualche soddisfazione nel pugilato. Da dilettante, naturalmente". Gli dissero che in fondo la gamba non gli avrebbe dato tanto fastidio e cominciò a tirare, in una palestra del dopolavoro. "Giovanissimo non ero più tanto, avevo già venticinque anni; forse troppi, per cominciare. Mi sistemarono l'osso del naso dopo qualche sera che frequentavo la palestra e, dopo due mesi, mi fecero salire sul ring, come peso piuma. Quante ne presi, quella volta ... Ebbi quasi paura. Poi mi dissero che non dovevo lasciarmi imporre il combattimento a distanza per non stancarmi nel gioco di gambe; e il fiato, il fiato ... " Accende un'altra sigaretta, il fumo gli va a traverso, tossisce, e tossisce ancora. In breve, la sua carriera di pugilatore fu assai meno brillante; come piuma poteva contare su un pugno discreto; ma poi si sposò ("lei capisce, vita più regolata, pasti normali, trascurai la ginnastica ... ") e non riuscì più a tenere il peso. Provò da leggero, una volta: ma lo misero a terra alla prima ripresa. Choc e principio di commozione cerebrale. "Allora pensai bene di lasciare anche il pugilato; troppo violento, come sport, per me. Ci voleva la grinta, dicevano. Ma, le poche volte che m'era capitato di darle anziché di prenderle, non m'era bastato il cuore di picchiare come avrei dovuto. Cosa vuol che le dica? In fondo avevo la mia botteguccia. Ma la passione resta, sa? Adesso gioco a dama; ho fatto anche qualche torneo. In fondo, anche la dama ... ". (1949-1955)
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