Linea d'ombra - anno VI - n. 23 - gennaio 1988

STORIE/GIUDICI tagli di capelli ("I signori abbonati hanno diritto ad un solo taglio di capelli al mese" ammoniva una scritta a sapone su uno specchio; ma noi non eravamo, comunque, fra i "signori abbonati"), il parrucchiere - dicevo - aveva sulla ~ensola principale due statuette di gesso colorato, una raffigurante un signore molto pallido, vestito di nero e con una mano sotto il mento e l'altra un uomo in camicia rossa e pantaloni color crema: Garibaldi, evidentemente. Il signore in nero era Mazzini. Anche per chi ignorasse completamente la storia patria sarebbe stato impossibile restare nell'ignoranza: "Ecco là", tuonava infatti il patriottico parrucchiere, ''abbiamo il pensiero e l'azione, Mazzini e Garibaldi ... " Pasqualino ed io, messi insieme, erava!11oquindi una specie di Mazzini, e mio fratello - per esclus1one, e dovevo purtroppo ammetterlo con una punta d'invidia - era Garibaldi, tutto da solo. La sala-corse era veramente scalcinata: alle altre sale i risultati giungevano dagli ippodromi, già come oggi, per mezzo di telescriventi. I giocatori aspettavano davanti agli sportelli e - poco dopo la fine di ogni corsa - vedevano accendersi le scritte luminose con i nomi dei cavalli vincitori, e con le quote del totalizzatore, dopo qualche altro minuto. Invece, nella nostra sala-corse, no: tutto si faceva con certi cartelli improvvisati, sui quali nomi dei vincitori e quote venivano segnati in matita blu da un signore molto serio con i capelli grigi impomatati, gli occhiali di tartaruga e sempre vestito di grigio. La telescrivente non c'era: quel signore riceveva le informazioni per telefono. L'idea ci parve magnifica: debbo ammettere che fu di Pasqualino, benché fossi io fra i tre il più appassionato lettore di imprese banditesche. Pasqualino l'architettò in tutti i suoi particolari, mettendo le cose in modo che quella volta l'uomo di pensiero fosse lui soltanto ed io e mio fratello gli esecutori; io - è bene sottolinearlo - il più raffinato. Pasqualino si sarebbe limitato soltanto a giocare con una buona puntata, raccapezzata alla meglio con contributo finanziario di tutti, un cavallo di cui nessuno aveva mai sentito parlare e che forse non correva per vincere, ma solo per divertimento. Mio fratello si sarebbe recato a riscuotere la forte vincita. A me toccava una parte difficile: dovevo, dal telefono di una drogheria vicina, chiamare la sala-corse e trasmettere al signore dai capelli grigi, beninteso prima che giungesse la telefonata vera, un risultato in cui il nostro cavallo fosse naturalmente il vincitore. Ci stava per sfuggire il particolare del totalizzatore, ma se ne ricordò in tempo,. per fortuna, mio fratello: anche l'uomo d'azione può aver delle idee. Pasqualino si recò a giocare con disinvoltura: i soldi ce li eravamo procurati - dieci lire a testa - con la scusa di dover acquistare un libro di scuola, consigliato urgentemente da un nuovo professore. Mio fratello scalpitava, proprio come un cavallo, nell'attesa di recarsi a riscuotere alle tre e quarantasette in punto. Così prevedeva, nella sua precisione inesorabile, il piano di Pasqualino: alle tre e quarantaquattro sarebbe toccato a me B lioteca Gino Bianco passare all'azione. Foto di Lori Sammartino (da La domenica degli italiani, Minerva 1961) Io avevo ben regolato il mio orologio, ma non i battiti del mio cuore di aspirante truffatore: il loro ritmo si fece vorticoso quando entrai nel negozio del droghiere. Tutti mi guardano, tutti mi guardano, pensavo. Un pompiere che stava facendo degli acquisti mi fece arrossire - era il caso di dirlo - come un ladro. Avevo la mezza lira; formai con una lentezza piena di rimorsi, il numero della sala-corse fino alla penultima cifra. L'ultima cifra era un 6. "Adesso", pensai, "faccio un 5", ma buttai giu una boccata di saliva e mi rimproverai per questa tentazione di vigliaccheria. "Pronto", rispose una voce che indovinai subito per quella del signore grigio; e il coraggio mi mancò. Bruciai la mia fortuna e quella dei miei compagni; non seppi entrare in argomento dicendo con noncuranza "Allora ha vinto quel brocco di Passodoppio" e snocciolando poi i nomi dei piazzati e aggiungendo "se aspetti un momento vi _dòanche le quote". Non sono un uomo d'azione. Allora nemmeno lo ero. Risposi: "Con chi parlo?" e poi aggiunsi, con tanta voglia di piangere: "Scusi ho sbagliato". In un film di gangsters, il "capo" mi avrebbe certamente fatto fuori: Pasqualino e mio fratello, invece, per qualche tempo mi considerarono un vigliacco. Poi non ci pensarono più. Ora, a riparlarne, non ci rimarrebbe che augurarci tutti e tre, a consolazione di quel "colpo" mancato, la fortuna legalitaria di un "13" al Totocalcio. Un campione in periferia Guardatelo, arriva adesso, con appena dieci minuti di ritardo: la folla raccolta sui margini del piccolo campo di periferia, accoglie l'insperato avvenimento con un mormorio diffuso di soddisfazione, con un sospiro quasi visibile di sollievo, con un senso di liberazione che sembra diffondersi, serpeggiare, lungo il perimetro del terreno, serpeggiare tra i fili di ferro del recinto, insinuarsi tra i paletti gialloverdi che sostengono i fili. Il campione è entrato in campo, finalmente. La folla è soddisfatta, ora: la partita può incominciare. L'arbitro, che dava segni d'impazienza, che voleva a tutti i costi portare il canoro fischietto alle labbra per il trillo decisivo, ha preso atto che il campione è entrato in campo ad ali spiegate. All'ultimo minuto, al limite estremo che la sorte gli ha conceduto, proprio come nei films americani. Il ragazzino, gracile, inesperto, emozionato, un collegiale al suo primo ballo, che avrebbe dovuto sostituirlo nel difficile ruolo di mezz'ala destra, si ritira dal campo, si sofferma ai limiti segnati dalla striscia del gesso fresco. È certo anche un po' rinfrancato per il rinvio del suo debutto. Ma certo intimamente tranquillo, come il timido giovane che si accorge che la fanciulla amata è accompagnata dalla madre, proprio nel momento in cui egli ha deciso di rompere gli indugi e dichiarare il suo amore.

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