Linea d'ombra - anno VI - n. 23 - gennaio 1988

una vera e propria violenza a questo testo riusciremmo a inserirlo in certe riflessioni sull'Olocausto, che sembrano oggi predominare, a metà tra la ricerca di una rassicurante assoluzione delle nostre cattive coscienze e i tentativi di una chiama_taa correo dei paesi occupati dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. La storia di Sansone sfugge invece a questa regola, rivelandosi piuttosto, come di consueto in Brandys, uno spunto per una riflessione più universale sul rapporto tra i fenomeni storici e le interrelazioni psichiche tra i singoli individui. O almeno è forse questo che rimane di più vivo e interessante nel testo, dopo la sua asportazione dalla tetralogia epico-storica in cui il suo autore lo aveva originariamente concepito. Quest'attualità è forse dovuta anche a una serie di sue successive revisioni. Dopo la sua collaborazione con A. Wajda per l'omonima versione cinematografica del '61 (la sceneggiatura comportò notevoli modifiche del tono e dell'ambientazione del racconto), Brandys tornò infatti su Sansone l'anno dopo, per una nuova edizione. Si trattò fondamentalmente di ritocchi, tesi ad attenuare gli originari interventi di un narratore onnipotente e onnipresente, che eliminavano certe tipiche digressioni da "romanzo politico" del Realismo Socialista. La prima versione del racconto aveva infatti visto la luce tra il '47 e il '48, anni in cui si preannunciava l'imminente involuzione della cultura ufficiale polacca: dalla conferenza dei giovani e aggressivi scrittori a Nieboròw (gennaio '48) al tristo congresso dell'Unione degli scrittori a Stettino, un anno dopo, che sancì una volta per tutte la linea programmatica della letteratura di partito. Sarebbe tuttavia sbagliato considerare Sansone come una manifestazione tout-court di certa letteratura didattico-propagandistica, sviluppatasi nei tardi anni '40. È vero che la serie di rocambolesche fughe e salvazioni di Jakub Gold (in una fase storica, tra l'inverno '42 e l'autunno '43, in cui la cosidetta End/6sung der Judenfrage, lo sterminio di massa degli ebrei rinchiusi nei ghetti polacchi, stava raggiungendo il suo apice) appare oggi come un ingenuo stratagemma per permettergli di assumere, con la brusca virata del finale, la posa eroica di un novello Sansone. È altrettanto vero però che nell'agiografia manichea dei romanzi social-politici di quel periodo il tema dell'Olocausto si inseriva assai male: ansioso di cancellare differenze e separatezze e di esaltare il radioso abbraccio di una società nuovissima, il Realismo Socialista non aveva in realtà nulla da rispondere alle troppe domande lasciate aperte nel dopoguerra. Per questo il racconto di Brandys riflette bene le contraddizioni di quegli anni cruciali, con la loro perversa catena di dibattiti e censure, liberalizzazioni effimere e forzature, anni in cui si facevano ancora sentire gli ultimi e flebili aneliti di una cultura liberal-marxista (di cui lo scrittore era un esponente), anche essa certo sostenitrice di una letteratura realista e manichea, ma ciò nonostante più sottile é intelligente. Iscrittosi al Partito Operaio Polacco, lo scrittore apparteneva allora alla redazione di "Kuinica", un settimanale che, pur tra incertezze e richiami all'ordine, aveva manifestato una certa tendenza ad andare controcorrente, prima della sua definitiva chiusura nel '50, aprendo per esempio a certa letteratura americana, europeo1 biiOÌeCaGino Bianco SAGGlnOMASSUCCI occidentale e russa non ortodossa (tra cui l' Achmatova e Mandelstam). Il nome di "Kuinica" non è per Sansone un riferimento casuale, soprattutto perché la rivista dedicò notevole spazio al tema dell'antisemitismo. Dopo i racconti di Rudnicki, la testimonianza di Z. Nalkowska (con alcuni brani dei Ragazzi di Oswizcim), la rivista aveva pubblicato infatti nel '47 Addio a Maria, sconvolgente documento autobiografico dal lager di T. Borowski, che nulla aveva a che spartire con gli schemi della tradizionale martirologia polacca. Di lì a poco infatti Borowski sarebbe diventato il bersaglio degli attacchi ufficiali e lo stesso direttore di "Kuznica" avrebbe ritrattato la pubblicazione, bollandolo come revisionista, piccolo borghese e addirittura vicino all'ideologia di Céline. A quell'epoca Brandys era - come oggi ama definirsi - qualcuno che "credeva a una versione vincolante della verità realizzata nel progresso". A una simile verità avrebbe aderito anche un altro intellettuale, futuro santone del Realismo Socialista, J. Andrzejewski, che nel '43, nel suo lungo racconto la settimana santa, av~va descritto senza retorica la spasmodica odissea di una giovane ebrea assimilata, respinta con indifferenza e ostilità dalla comunità cristiana verso il suo destino di morte, nel ghetto in rivolta. Il racconto di Andrzejewski - un ex cattolico che prima della guerra aveva simpatizzato per i circoli nazionalistici - e Sansone, di 4 anni posteriore, sono in qualche modo complementari: in entrambi infatti anche se da angolazioni diverse, si riflette la presa di coscienza tardiva, sullo scorcio degli anni '30 o addirittura durante l'occupazione tedesca, da parte di tanti intellettuali - non esclusi quelli d'origine ebraica - delle profonde e insanabili spaccature della società polacca. Il nucleo più intimo e originario di Sansone nasce forse da una simile scoperta, una scoperta tanto più violenta, quanto più a lungo rimossa, come notava nel 1946J .P. Sartre nelle sue Riflessioni sulla questione ebraica. Per questo forse il racconto comincia come una sorta di classico Bildungsroman: nell'idillio di un focolare domestico, nel rapporto intimistico e protettivo del protagonista e della sua Yddischemame. Può darsi che a questo punto qualche lettore voglia cogliere una vena autobiografica in Sansone: sarebbe tuttavia un errore, perché tra le vicende della vita familiare e adulta di Brandys e quelle di Jakub Gold i punti di contatto sono pochi o nulli. La storia di Sansone non è una testimonianza o confessione dello scrittore che, come è noto, riusci a sopravvivere per quasi tutta la guerra nella parte "ariana" di Varsavia, grazie al sostegno fondamentale di alcune persone fidate. L'unico elemento comune ai due è forse costituito dalla traumatica scoperta, indotta dall'intervento ostile del mondo esterno, della propria diversità. Jakub Gold e K. Brandys sono entrambi infatti degli "ebrei di ritorno" per cui essere ebreo è divenuto "simultaneamente impossibile e obbligatorio" - come ha scritto poco prima di morire Primo Levi. Per questo probabilmente lo scrittore ha voluto fornire al suo personaggio, con un piccolo vezzo passato inosservato, la sua stessa data di nascita, il 27 ottobre 1916, e la sua stessa città natale, Lodz. E non è un caso che da Lodz l'azione del romanzo si trasferisca nell'altra grande città "ebraica" della Polonia, Varsavia (con una minoranza ebraica di quasi il 300Jo,prima della 57

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