Linea d'ombra - anno VI - n. 23 - gennaio 1988

SANSONEA VARSAVIA Giovanna Tomassucci Qualche mese fa, alla domanda rivoltagli da una giornalista di Radio-France, se si sentisse uno scrittore ebreo, Kazimiers Brandys, l'autore della Madre dei Re e di Rondò, rispose: "lo mi sento in primo luogo un mammifero e vertebrato superiore. Ogni tanto poi sento di essere un europeo. Sono stato educato nella cultura e nella lingua polacca e sono perciò uno scrittore polacco: ma quando si perseguitano gli ebrei, mi sento un ebreo." Una risposta delicata per un problema ancora dolorosamente aperto, che_dietro un sottile ~e_l~di _autoironia cela un compre~-. sibile disag10 per le autodefm1Z1on1. A una domanda molto simile, Doblin si era espresso negli anni '20: "Se mi chiedessero a che nazione appartenga, a quella ebraica o tedesca, risponderei né all'una né all'altra, ma a quella dei bambini e dei folli." Come Doblin - ma come del resto tanti altri intellettuali polacchi d'origine ebraica - anche Brandys si sottrae a una imbarazzante calibratura delle proprie radici, ma non approda per questo a un ipotetico e ideale mondo dello spirito, al di sopra dei confini e della storia. Pone semmai sul piatto della bilancia l'intreccio indissolubile che Io lega alla cultura polacca, una cultura che, soprattutto dalla prima guerra mondiale in poi, deve gran parte della sua vivacità e ricchezza ali' intelligencja ebraica assimilata. E difficile è trovare infatti nell'ebraismo polacco del nostro secolo una figura di scrittore senza nazione o popolo come Kafka o dalla lacerante duplicità di un Benjamin, consapevole di non essere un semplice intellettuale tedesco, con l'eccezione forse dell'ambivalente autore delle Botteghe color cannella, Bruno Schulz, che trascorse quasi tutta la sua esistenza in uno dei tanti shtetl della Polonia orientale. Nel '900 letterario polacco la creatività ebraica sembra in-. fatti incanalarsi spontaneamente nei ranghi della letteratura nazionale: la cultura appare come una sorta di campo neutro e ideale che garantisce il superamento delle diversità e separatezze. Diventare uno scrittore polacco, forse più degli stessi polacchi, servirsi con tanta versatilità della loro lingua da rivelarne nuovi sconosciuti orizzonti, sembra essere una sorta di scommessa tra i•tanti esponenti della letteratura-di tutta la prima metà del secolo. Da due tra le più grandi voci della poesia polacca, Boleslaw Lesmian e Julian Tuwim, ai tanti rappresentanti ell'avanguardia tra le due guerre, la condizione dello scrittore assume una sorta di status emancipatorio al di sopra delle parti, di una unione ideale e affettuosa di due culture e società in realtà profondamente divise. Succedeva allora, quando la minoranza ebraica era un ragguardevole 10% della popolazione, e continua a succedere aricor oggi, quando gli ebrei polacchi sono ormai solo qualche decina di migliaia. Per Brandys, considerato uno degli scrittori più significativi del suo paese, questa precisazione vale forse anche di più. Nella sua biografia letteraria, il tema ebraico torna solo due volte: una prima nel '48, con un romanzo breve, Sansone, che la casa editrice E/0 oggi ripropone, una seconda, a distanza di undici anni, con un racconto breve, Intervista con Bal/meyer, serrato confronto a due tra un giornalista americano d'origine ebreopolacca e un criminale nazista, andato a stabilirsi, a pena scontata, nell'isola dove aveva scatenato un eccidio. ♦blioteca Gino Bianco È appunto la riedizione di Sansone, a ventisei anni di distanza dalla sua prima traduzione nella medusiana Difesa della Granada, che ci offre spunto per una riflessione. Il romanzo fu concepito originariamente come il punto di partenza di una più vasta tetralogia, Tra le due guerre, edita tra il '48 e il '51, in cui lo scrittore intendeva raffigurare le trasformazioni sociopolitiche intervenute nella società polacca tra la metà degli anni '30 e il ventennio successivo. Intervista con Ballmeyer, anch'esso già pubblicato nell'edizione della Mondadori del '61, faceva invece parte di Romanticismo ( 1960), una raccolta in cui Brandys si misurava, tentando nuove tecniche narrative, con lo scavo psicologico e i flussi di coscienza di un ventaglio di svariati personaggi. Il tema ebraico appare così chiaramente come episodico nella produzione di questo scrittore polacco, dedicatosi all'argomento in maniera sostanzialmente marginale, a differenza per esempio di un altro narratore di origine ebraica, A. Rudnicki, noto anche in Italia, autore di un intero ciclo, l'epoca deiforni (l 948-49), e di numerosi altri racconti sulla persecuzione degli ebrei polacchi durante la seconda guerra mondiale. Il Sansone protagonista del romanzo di Brandys, è il giovane ebreo Jakub Gold, forzuto e diligente, candido e affettuoso. Orfano di padre, vive con la madre in un quartiere povero di una grande città della Polonia occidentale, lacerata da tensioni di classe e razziali, in cui non ci è difficile riconoscere il centro tessile di Lodz, città plurinazionale dalla fine dell'800, perché contemporaneamente polacca, ebrea e tedesca. Ma la Lodz degli anni '30 non è quella in cui i tre gruppi etnici potevano compenetrarsi in nome dell'interesse e del profitto, descritta in la terra promessa di Reymont (1899) e trasposta poi da Wajda nel 1976 in uno splendido film: ora è scossa, come il resto del paese, dalle azioni delle squadre antisemite dell'O.N.R. (Movimento Nazional Radicale), cui il governo polacco strizza l'occhio. Per questo il contatto di Jakub con il "mondo dei fenomeni sociali" - come li definisce Brandys - coincide con una brutale iniziazione "guidata dalla pesante mano della storia": è l'impari lotta con l'aggressività dei compagni di scuola, con l'isolamento all'università e infine con la paura che gli lievita dentro. La dolorosa e inattesa scoperta della propria diversità del ragazzo Jakub, che scopre di essere ebreo sotto gli sguardi (o i colpi) degli altri, assomiglia, lo riconosciamo, a quella di un altro ignaro adolescente di quegli stessi anni, Hans, il protagonista dell'Amico ritrovato di Franz Uhlman. Ma la storia della società polacca, destinata a essere travolta di lì a poco dall'uragano dell'occupazione nazista e sovietica, non è la stessa di quella della Germania degli stessi anni: così, nonostante le apparenti affinità, anche l'amicizia di Jakub per il borghese Tolo sta a rappresentare qualcosa di diverso di quella di Hans per l'aristocratico Konstantin. È un'osservazione, questa, che non andrebbe dimenticata tutte le volte che si parla dell'antisemitismo in Polonia, e Brandys sembra ricordarcela. Il narratore di Sansone non si identifica infatti con il suo personaggio, come avviene invece nell'Amico ritrovato: non solo non lo trasforma in un suo alter-ego, ma si astiene da accuse e recriminazioni. Nel romanzo polacco la storia del giovane Gold è uno dei tanti tasselli di una tragedia più universale. Per questo solo facendo

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