TOPI,GATTI,MAIALI INCONTROCONARTSPIEGELMAN a cura di Franco Serra È dal 1980 che fa rivista americana "Raw" pubblica Maus, un fumetto di Art Spiegelman uscito quasi contemporaneamente in Italia su "Linus", splendidamente tradotto da Ranieri Carano. In Maus, tramite un artificio narrativo assaipiù usuale nella tradizione del grande romanzo che in quella dei fumetti - l'autobiografia e .la saga familiare-, l'autore ripercorre le esperienze dei propri genitori, ebrei polacchiperseguitati dai nazisti durante fa seconda guerra mondiale, cercando di far luce in questo modo sul suo personale rapporto con le proprie radici. Così come viene narrata, l'epopea di Vfadek e Anja Spiegefman, intreccia la storia dell'olocausto con le piccole vicende quotidiane della comunità ebraica di Polonia rappresentando con precisione quasi scientifica: dall'interno gli aspetti sociali, psicologici, antropologici del più gigantesco sconquasso di questo secolo. Ma sentiamo cosa ci dice Spiegefman: La questione dei campi di concentramento è una questione centrale. Non è possibile avvicinarsi al ventunesimo secolo senza aver capito fino in fondo ciò che è successo senza aver capito fino in fondo ciò che è successo nell'Europa dell'est negli anni quaranta. È questa l'attualità di Maus, secondo il tuo punto di vista? Penso che il soggetto di Maus descriva uno degli argomenti basilari dell'oggi. È possibile che molti s'identifichino in una situazione così estrema. Nella lingua inglese, la parola che si usa per descrivere quei tempi è "Holocaust". La stessa che si usa oggi in tutto il mondo quando la gente si riferisce al pericolo di un conflitto nucleare. Trovo che ci sia dunque anche una connessione linguistica tra quel che è stato e ciò che si teme possa avvenire. Penso che ci sia una grossa contemporaneità. E poi, ci sono i rapporti con mio padre ... Mentre Vladek Spiegelman, il padre di Art, racconta fa sua storia al figlio, i due passeggiano per Rego Park, a Queens, New York; oppure se ne stanno seduti nella cucina liotecaGino Bianco di casa, Spigefman intrecciando i ricordi della vita degli anni quaranta con fa complicata quotidianità della convivenza con Mala, anche lei sopravvissuta ai campi, fa donna che ha sposato dopo il suicidio di Anja nel 1968. Cosa ti ha spinto ad adottare fa/orma narrativa del romanzo, una scelta che non ha precedenti nel campo dei fumetti? È stato il soggetto stesso della storia che volevo narrare, naturalmente. Non era possibile trattare questo argomento con un racconto. Una volta ho fatto un fumetto molto breve che si chiamava Maus, di tre pagine. Quelle tre pagine mi hanno spinto ad affrontare una ricerca di maggior respiro: mi ero reso conto che rappresentavano solo un aspetto particolare di una storia più ampia. In effetti l'area specifica che sto esplorando con Maus ha molto più a che vedere col romanzo che non molte altre comic strip. Una delle ragioni che mi ha stimolato ad affrontare quel modello narrativo è eh.eavevo l'impressione di scalare una montagna che nessuno aveva mai scalato. Volevo fare qualcosa che avesse tutte le nuances del romanzo, con aree di lavoro che si riflettessero e dialogassero le une con le altre. Su questo punto, Bernard Rifey, direttore della sezione Arti grafiche popolari applicate della Library of Congress, è categorico: "Si tratta di un 'opera seria, di notevole livello. Maus ridà al fumetto un vigore che aveva perduto. Leggendolo, si ha fa sensazione di essere al vertice della letteratura grafica, un campo da tempo stagnante. " Per tratteggiare i protagonisti della sua storia, Spiegelman ha scelto un cliché tipico sia del fumetto che della letteratura popolare in genere: i persqnaggi parlano, vestono, mangiano, vivono come esseri umani, ma sono disegnati come animali; topi gli ebrei, maiali i collaborazionisti, feroci gatti i soldati della Gestapo. Perché topi? A Ken Tucker che lo intervista per fa "New York Times Book Review" Spiegefman ha dato questa risposta: Qualche anno fa, guardando una serie di cartoni animati degli anni venti e trenta fui molto colpito dal fatto che spesso non c'era differenza tra il modo in cui venivano disegnati i topi e la gente di colore. Così cominciai a pensare di fare una striscia che si servisse dei topi per una metafora sulla condizione dei neri in America. Mi resi subito conto che non sapevo nulla su cosa significasse essere nero. D'altra parte ero ebreo, e perfettamente conscio di quelle che erano state le esperienze dei miei genitori durante la guerra: fu quello che mi spinse a cambiare rotta. Da quel momento ho cominciato a trovare sorprendenti parallelismi, a volte dolorosamente ironici, con quella metafora. Per fare un esempio, nel Mein Kampf Hitler parla degli ebrei come di topi di fogna. Vidi poi un documentario di propaganda nazista nel cui montaggio a scene con folle di ebrei al mercato venivano accostate sequenze di topi che corrono all'impazzata. In tutt'altro contesto c'è poi un racconto di Kafka dal titolo La cantante Josephine, dove gli ebrei sono ritratti come topi. Tutti questi elementi sono stati di sostegno al mio tenta-
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