nella situazione vigente il soggetto non ha affatto un'identità. "La premessa della sua identità è la fine della coazione all'identità." Ma questa coazione si perpetua nel meccanismo psichico dell'identificazione come in tutti gli sforzi per bilanciare e differenziare. L'identità a formato ridotto è il surrogato dell'identità: il miglior patteggiamento possibile con un mondo tutt'altro che identico. Questa è l'identità voluta da Habermas non meno che da Sturmer. Essi divergono sulla questione di chi debba fondarla: identificazione con la nazione o con la Costituzione democratica? Se la questione è posta in questo modo, naturalmente tutto parla a favore della Costituzione. Habermas sottolinea a ragione che furono le potenze vincitrici a renderla possibile in terra tedesca dopo il 1945e che il suo spirito fino ad oggi non è diventato neanche lontanamente così caro , al cuore tedesco come le labbra tedesche ci vogliono talvolta far credere. Ma anche se gli fosse tanto caro, che cosa si ot- . terrebbe? Il punto da cui scaturì a suo tempo la Teoria criti- ; ca, quando in Germania si sfasciò la prima repubblica, fu : l'importante constatazione che la costituzione democratica di una società capitalistico-borghese è una contraddizione in re, perché da una parte ha scritto sulle sue bandiere libertà, uguaglianza e giustizia e dall'altra aiuta ad affermarsi unà legge economica globale che realizza questi concetti a modo suo e sa benissimo conciliare con essi la miseria delle masse o la distruzione delle basi materiali della vita. Che in questo contrasto sia insita quella sciagurata dinamica che fa sì che· le situazioni democratiche a seconda delle crisi economiche tendano a diventare autoritarie, era una delle idee centrali da cui prese le mosse la Teoria critica degli anni trenta. Habermas torna a monte di essa, reclamando "l'identiricazione con i principi costituzionali di una repubblica democratica" (12), cioè l'identificazione con un antagonismo, e dovrebbe essere questa a regalarci l'identità. E che cos'è questa identità, che in Una sorta di risarcimento danni egli caratterizza con "l'apertura incondizionata della Repubblica Federale alla cultura politica dell'Occidente" o con "l'adesione all'Occidente", se non BibliotecaGino Bianco Fotomontaggio di Heartfield per la rivista "A.I.Z.", 1932 SAGGI/TURCKE la versione liberale di quella "filosofia della Nato" la cui versione "dai colori tedesco-nazionali" gli dispiace tanto, e aragione, nei suoi avversari? Habermas giustamente rileva che noi tedeschi dopo Auschwitz possiamo attingere "solo alle tradizioni migliori della nostra storia, non accettandola passivamente ma acquisendola criticamente" (L'uso pubblico della storia). Lui però nel dibattito degli storici non ha attinto a quella tradizione cui lui stesso continua ad essere annoverato in vaste aree dell'opinione pubblica: la tradizione della Teoria critica. Questo non sarebbe poi tanto grave se egli non si fosse impegolato nell'antinomia sopra descritta proprio per questo. In Kant prima veniva l'antinomia e poi il tentativo di risolverla. Nella questione del superamento del passato tedesco succede il contrario: prima si indica la via della soluzione e l'antinomia si dispiega completamente solo quando si è deciso di ignorarla. Così nel nuovo dibattito sul Terzo Reich, entrambe le parti mettono in evidenza, ognuna a suo modo, a che punto· siamo nel nostro paese quanto a progresso culturale. (traduzione di Cesare Cases) Copyright Christoph Tiircke "Merkur" 1987. 1) Cfr. Kant, Critica della ragion pura, libro Il, sezione II. 2) Ernst Nolte; Vergangenheit, die nicht vergehen will, in: "Historikerstreit". Die.Dokumentation der Kontroverse um die Einzigartigkeit der nationalsozialistischen Judenvernichtung, Piper, Miinchen 1987, [traduzione italiana li passato che non vuole passare, in: Un passato che non passa. I crimini nazisti e l'identità tedesca, a cura di G.E. Rusconi, Einaudi, Torino 1987. I titoli citati in italiano senz'altra indicazione si riferiscono a questa edizione italiana.] 3) Cfr. Andreas Hillgruber, Zweierlei Untergang. Die Zerschlagung des Deutschen Reiches und das Ende des europiiischen Judentum, Siedler, Berlin 1986. [Duplice caduta. Lo smembramento del Reich tedesco e la fine dell'ebraismo europeo.] 4) Saul Friedliinder, cit. da Herbert Freeden, Eine Debatte unter Deutschen, in "Frankfurter Rundschau", 14.11.1986. - 5) Cfr. Eberhard Jiickel, Die elende P,:axisder Untersteller, in "Die Zeit", 26.9.1986. 6) Eberhard Jiickel, Die Deutschen und ihre Geschichte, in "Frankfurter Rundschau", 6.6.1987. 7) Max Horkheimer, Die Juden und Europa, in: Aufsiitze 1939-41, de Munter, Amsterdam 1967. Ivi anche il saggio Autoritiirer Staat. 8) Jiirgen Habermas, Theorie des kommunikativen Handelns, Suhr- · kamp, Frankfurt 1981 [trad. it. Teoriadell'agire comunicativo, li mulino, Bologna 1986]. 9) Jiirgen Haberrnas, Bemerkungen zur Entwicklungsgeschichte des Horkheimerschen Werkes, in: Alfred Schmidt/Norbert Altwicker, Max Horkheimer heute, Fischér, Frankfurt 1986. 10) Michael Stiirmer, Kein Eigentum der Deutschen: die deutsche Frage, in: Die ldentitiit der Deutschen, a cura di Werner Weidenfeld, Hanser, Miinchen 1983. 11) È il titolo del suo discorso per il conferimento del premio Hegel della città di Stoccarda nel 1973, pubblicato in: Jiirgen Habermas/Dieter Henrich, Zwei Reden, Suhrkamp, Frankfurt 1974. 12) Jiirgen Habermas, Die neue Uniibersichtlichkeit, Suhrkamp, Frankfurt 1985.
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