Linea d'ombra - anno VI - n. 23 - gennaio 1988

STORIE/LAGERKVIST nevo, allora si doveva presto morire. Questo ricordo bene che credevo a quel tempo. La massicciata s'inclinava ripida verso il basso, in abissi neri come la notte. I pali del telefono svettavano spettrali verso il cielo, nel loro interno correva un brontolìo sordo, come se qualcuno stesse parlando dal profondo della terra, i cappucci di porcellana bianca se ne stavano ammassati in preda al terrore e si piegavano ad esso. Tutto era spaventoso. Niente era giusto, niente reale, tutto come un prodigio. Io mi strinsi a mio padre e bisbigliai: - Padre, perché è così orribile quand'è buio? - No, caro figliolo, non è orribile, mi disse e mi prese per mano. - Sì, padre, lo è. - No, figliolo, questo non lo devi pensare. Noi sappiamo bene che esiste un Dio. Mi sentii così solo, abbandonato. Era così strano che io soltanto avessi paura, non mio padre, che noi sentissimo diversamente. Ed era strano che le sue parole non mi fossero d'aiuto, così che non dovessi avere più paura. Neppure quello che disse su Dio mi aiutò. Mi pareva che anche lui fosse spavantoso. Era orribile che lui fosse dappertutto lì nelle tenebre, giù sotto gli alberi, nei pali del telefono che rumoreggiavano - di certo era lui - ovunque. E tuttavia non lo si poteva vedere mai. Camminavamo in silenzio. Ognuno pensava alle sue cose. Il mio cuore si chiuse su se stesso come se il buio mi fosse entrato dentro e avesse cominciato a serrarlo. Poi, mentre ci trovavamo nel mezzo di una curva, d'improvviso udimmo un fragore possente alle spalle! Ci destammo terrorizzati dai nostri pensieri. Mio padre mi trascinò giù sulla massicciata, giù nell'abisso, e lì mi tenne fermo. E il treno ci sfrecciò davanti a precipizio. Un treno nero, le luci spente in tutti i vagoni, che andava a velocità furiosa. Che treno poteva mai essere, non sarebbe dovuto passare nessun treno a quell'ora! Lo guardammo esterefatti. Le fiamme ardevano nella possente locomotiva là dove il carbone veniva gettato a palate, le faville turbinavano fuori selvaggiamente nella notte. Era spaventoso. Il conduttore se ne stava ritto, pallido, immobile, i lineamenti come impietriti nella luce del fuoco. Mio padre non lo riconobbe, non sapeva chi fosse, quello fissava soltanto dritto avanti a sé, era come se volesse solo penetrare profondamente nelle tenebre, che non avevano fine. Impaurito, ansante d'angoscia seguii con lo sguardo la folle visione. Essa fu inghiottita dalla notte. Mio padre mi ricondusse sui binari, ci affrettammo verso casa. Disse: - Strano, che treno era mai quello? E il macchinista non l'ho riconosciuto. Poi continuò a camminare in silenzio. Ma io tremavo da capo a piedi. Era stato per me, per me. Io intuivo ciò che significava, era l'angoscia che sarebbe giunta, tutto l'ignoto, ciò di cui mio padre non sapeva nulla, e da cui non avrebbe potuto proteggermi. Così sarebbero stati il mondo, la vita per me, non come quelli di mio padre, dove tutto era tranquillo e certo. Non era un vero mondo, una BibliotecaGino Bianco vera vita. Soltanto si precipitava in fiamme nell'oscurità completa, che non aveva fine. Morte di un eroe In una città dove la gente non sembrava averne mai abbastanza di svaghi, un consorzio aveva ingaggiato un uomo che si sarebbe dovuto tenere in equilibrio sulla testa in cima alla guglia. della chiesa, per poi cadere e ammazzarsi. Egli avrebbe ricevuto cinquecentomila corone per farlo. Ci fu un vivace interesse in tutti i ceti, in tutte le cerchie per questa impresa, i biglietti sparirono in pochi giorni e non si parlava d'altro. Tutti trovavano che fosse una cosa davvero temeraria. Ma si doveva pur anche pensare che il prezzo era conseguente. Non doveva essere del tutto piacevole cadere e ammazzarsi, e per di più da una simile altezza. Ma bisogna pur anche riconoscere che la ricompensa era stata calcolata con abbondanza. Il consorzio che aveva organizzato il tutto non si era veramente risparmiato su alcun dettaglio, e si poteva essere orgogliosi che in città fosse stato possibile creare un'organizzazione del genere. Com'è ovvio l'attenzione si fissò anche ampiamente su colui che si era preso l'incarico di eseguire la faccenda. I cronisti dei giornali gli si gettarono addosso con zelo fervente, giacché mancavano soltanto pochi giorni all'esibizione. Lui li ricevette di buon grado nell'appartamento che aveva presso l'albergo più elegante della città. - Beh, per me tutta la faccenda è soltanto un affare, disse. Mi hanno offerto la somma che sapete e io ho accettato l'offerta. Tutto qui. - Ma non vi sembra allora sgradevole che dovrete sacrificare la vostra vita? Naturalmente è comprensibile che q'uesto sia necessario, perché altrimenti non ci sarebbe niente di particolarmente sensazionale e il consorzio non potrebbe pagare così come ha fatto, ma per voi personalmente non può essere tanto piacevole. - No, in questo avete perfettamente ragione e anch'io ci ho riflettuto sopra. Ma che cosa non si fa per i soldi. Sulla base di queste dichiarazioni furono scritti sui giornali lunghi articoli su quell'uomo fino allora sconosciuto, sul suo passato, le sue opinioni, la sua posizione riguardo ai diversi problemi dell'epoca, il suo carattere e la sua persona. Il suo ritratto compariva su tutti i gionali che uno apriva. Mostrava un giovane vigoroso, di aspetto non particolarmente degno di nota, ma dall'aria intrepida e piena di salute, con un viso energico e aperto, un tipico rappresentante della migliore gioventù del tempo, risoluto e sano. Il ritratto veniva studiato in tutti i caffè, mentre ci si preparava all'evento sensazionale che doveva aver luogo. La gente lo trovava niente male, un giovane simpatico, e le donne pensavano che fosse magnifico. Alcuni che avevano più giudizio alzavano le spalle: bella furberia, dicevano. Su un punto però erano tutti d'accordo, che quell'idea era proprio fantastica e singolare, e che una cosa simile non sarebbe potuta accadere altro che nella nostra notevole epoca, intensa e focosa e capace di sacrificare tutto. E tutti erano d'accordo che il consorzio era degno di

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