Linea d'ombra - anno VI - n. 23 - gennaio 1988

STORIE/DAZAI Verso l'agosto si organizzò una corsa campestre che avrebbe dovuto percorrere tutti i paesi lungo la costa, e i giovani della provincia aderirono in massa. L'ufficio postale di A. fu designato come punto di raccordo dove i corridori partiti da Aomori avrebbero dato il cambio a un'altra squadra. Poco dopo le dieci del mattino era previsto da un momento all'altro l'arrivo dei corridori e tutti gli impiegati dell'ufficio erano usciti per assistere allo spettacolo. Solamente io e il direttore eravamo rimasti e stavamo sistemando i contratti delle assicurazioni, quando si udì un fermento di grida: "Arrivano, arrivano". Mi alzai e mi affacciai alla finestra; il corridore appariva teso nello sforzo finale, con le dita delle mani divaricate come zampe di una rana, le braccia che si muovevano curiosamente come se si facesse largo nel vuoto; indossava solo un paio di pantaloncini ed era naturalmente a piedi nudi; sporgendo in avanti il petto robusto e spostando a destra e a sinistra il collo proteso, con espressione sofferente, arrivò barcollando davanti all'ufficio e si lasciò cadere a terra con un gemito prolungato. "Bravo, ce l'hai fatta!" gridarono i suoi sostenitori; poi, lo sollevarono, lo trasportarono sotto la finestra dove ero affacciato e gli spruzzarono addosso l'acqua di un secchio, già pronta per l'uso. L'atleta sembrava più morto che.vivo, giaceva sfinito con il volto sbiancato, e guardandolo fui colto da una strana agitazione. Per me che avevo ventisei anni, dire che era commovente era forse eccessivo; toccante, sarebbe la parola giusta. Ad ogni modo, mi sembrava che giungere fino a quel posto, senza risparmio di forze, fosse una bella impresa. Quegli uomini, benché l'opinione pubblica mostrasse scarso interesse per il posto che avrebbero ottenuto al traguardo, puntavano tutte le loro energie sullo sforzo finale. Probabilmente, nessuno di loro, attraverso questa corsa campestre, si proponeva come ideale la realizzazione della "nazione civile" di cui si faceva tanto parlare in quel periodo; forse non avevano nessuna aspirazione particolare, ma, nonostante ciò, correvano per una questione di decoro, in nome di quell'ideale, senza chiedere l'apprezzamento dell'opinione pubblica. Non avevano neppure l'ambizione di divenite in futuro grandi campioni di maratona: sapevano perfettamente che si trattava pur sempre di una gara secondaria, di provincia, dove né i tempi né altro avevano molto significato. Tornando alle loro case, non avrebbero certo parlato dei propri meriti, ma piuttosto si sarebbero preoccupati dei rimproveri paterni. Eppure volevano correre. Volevano provare ad ogni costo. Non aveva importanza che qualcuno li elogiasse. Volevano solo correre. Era un atto gratuito. Se da bambini si erano arrampicati su un albero, a loro rischio, lo avevano fatto per il desiderio di mangiare la frutta, ma in questa maratona non vi era neppure un simile spinta. Era come una passione per il nulla. E si adattava perfettamente alla mia condizione spirituale di vuoto assoluto. Cominciai a esercitarmi nel lancio della palla per il baseball, con gli impiegati dell'ufficio. Tiravo avanti fino allo sfinimento e allora avvertivo una sensazione di freschezza, come se mi fossi liberato dalla mia pelle. Ce l'ho fatta, pensai, ma liotecaGino Bianco subito dopo, come sempre, si fece udire il rumore del martello. Quel suono riuscì a fare a pezzi anche la passione per il nulla. Adesso si fa udire sempre più spesso: quando apro il giornale e sto per leggere gli articoli della nuova costituzione; quando lo zio chiede il mio parere sull'ufficio e sembra che mi venga alla mente qualche buona idea; quando sto per leggere i Suoi romanzi; oppure, come l'altra volta, quando è scoppiato un incendio e stavo per alzarmi dal letto e correre sul posto; quando, con lo zio, a cena, penso di bere un po' più del solito; quando mi domando se sono diventato pazzo. Sempre lo stesso suono, anche quando penso di uccidermi. Lo stesso suono. "In una parola, cosa è la vita?" ho chiesto ieri allo zio, in tono scherzoso, mentre insieme stavamo bevendo il bicchierino della sera. "La vita, non so. Ma il mondo è sesso e avidità". Mi è sembrata una risposta esatta, oltre ogni previsione. Mi sono chiesto all'improvviso se era il caso di darmi al mercato nero. Ho pensato al momento in cui avrei guadagnato, con questo mestiere, diecimila yen e subito il martello ha ripreso a farsi sentire. Mi spieghi. Cosa può essere questo suono? Come posso liberarmene? Per colpa sua non riesco più a muovermi. La prego, mi risponda. Mi permetto di aggiungere qualcosa. Non ero ancora arrivato a metà della lettera che il martellamento è ricominciato. Che assurdità, scrivere questa lettera. Tuttavia ho resistito e sono arrivato fino a questo punto, ma tutto mi sembrava troppo sciocco e, disperato, ho avuto l'impressione di aver scritto solo bugie. Non era mai esistita u_naragazza di nome Hanae; non avevo mai assistito ad una manifestazione. Anche il resto era falso; solamente il suono del martello era ben reale. Spedisco la lettera, senza rileggerla. Distinti saluti. L o scrittore che ricevette questa bizzarra missiva era persona ignorante e sconsiderata oltre ogni dire. Inviò la seguente risposta: "Egregio Signore, la sua sofferenza mi sembra pretenziosa. Non la posso condividere molto. Senza ombra di dubb.io, penso che Lei possa in futuro evitare un comportamento deplorevole per il quale non vi sarebbe qualsivoglia scusante. Il vero intelletto ha bisogno più che di raziocinio di coraggio. Matteo, decimo capitolo, 28: 'Non temete coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto colui che può far perdere anima e corpo nella Geenna'. In questo caso, il significato di temere mi sembra si avvicini piuttosto a quello di 'aver soggezione'. Se Lei potrà avvertire il fragore, simile a un tuono, delle parole di Gesù, certamente anche la sua allucinazione avrà fine. Scusandomi per la brevità, Le invio molti saluti". (1947; traduzione dal giapponese di Maria Teresa Orsi)

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