Linea d'ombra - anno VI - n. 23 - gennaio 1988

STORIE/DAZAI trariata. Il suo viso non era quello delle donne nei ritratti di Van Dyck, ma piuttosto assomigliava a quello di un giovane aristocratico. Si chiamava Tokita Hanae. Il suo nome era scritto nel libretto di risparmio. In passato, doveva aver vissuto nellaprefettura di Miyagi; sul libretto, nello spazio apposito, era segnato un indirizzo di Miyagi, poi cancellato con una riga rossa; accanto, era stata indicata la nuova residenza. Seppi dalle chiacchiere delle impiegate che quando abitava alla prefettura di Miyagi aveva subito i danni della guerra e appena prima della resa era venuta all'improvviso in questo villaggio. Forse era una lontana parente della proprietaria dell'albergo e, a quanto si diceva, la sua condotta non era irreprensibile; benché fosse ancora una ragazzina, si dava parecchio da fare. La gente del posto, peraltro, era sempre pronta a criticare i nuovi venuti. Non credevo una parola di quel discorso; dovevo ammette're però che il conto in banca di Hanae non era misero. Gli impiegati di un ufficio postale non possono render pubbliche certe cose, ma, a parte questo, la ragazza, senza badare agli scherzi del direttore, almeno una volta alla settimana veniva a depositare due o trecento nuovi yen e la somma cresceva rapidamente. Certo non si trattava di un buon marito. Ogni volta che apponevo sul libretto il timbro di ricevuta, il mio cuore cominciava a battere e il mio viso arrossiva. · In seguito, cominciai a tormentarmi. Hanae non poteva essere una che si dava da fare; era però possibile che tutti gli uomini del villaggio la prendessero di mira, le offrissero soldi, la corrompessero. Certamente, doveva essere così. A questo pensiero, talvolta, balzavo dal letto, in piena notte, rabbrividendo. Dal canto suo, Hanae seguitava tranquillamente a portare il denaro, in media una volta alla settimana. Ormai non mi capitava più di arrossire o di confondermi; al contrario, per l'angoscia, il mio viso impallidiva e la fronte si imperlava di sudore freddo. In questo stato d'animo, mentre contavo i sudici biglietti da dieci yen che Hanae mi porgeva con studiata indifferenza, innumerevoli volte ero preso dall'impulso violento di strapparli in mille pezzi. Avrei voluto dirle una sola cosa, una famosa frase che era apparsa in un romanzo di Izumi Kyoka: "A costo di morire, non essere mai il trastullo di un uomo!" Certo era una frase melodrammatica e un rustico provinciale come me non sarebbe mai riuscito a pronunciarla, eppure io, in tutta serietà, avrei voluto dirle soltanto questo. "A costo di morire, non essere mai il giocattolo di un uomo. Cosa vuoi che contino, il denaro, i beni materiali. .. " Forse è vero che se amiamo qualcuno, saremo a nostra volta amati. Avvenne nella seconda metà di maggio. Hanae, come sempre, era apparsa dietro lo sportello, con aria contegnosa, e mi aveva passato i soldi e il libretto. Li avevo presi con un sospiro e avevo tristemente contato le banconote spiegazzate. Avevo segnato sul libretto la somma raggiunta e lo avevo restituito alla ragazza. "Sei libero verso le cinque?" Non potevo credere alle mie orecchie. Aveva parlato raliotecaGino Bianco pida, a voce bassa, tanto che per un momento mi sembrò di essere stato tratto in inganno dal vento primaverile. "Se sei libero, vieni al ponte". Aveva sorriso un attimo, poi aveva subito ripreso la sua aria contegnosa e si era allontanata. Guardai l'orologio. Erano appena passate le tre. È spiacevole a dirsi, ma oggi non riesco a ricordare quello che feci fino alle cinque. Sicuramente mi comportai come un pazzo: mi agitavo irrequieto con il viso teso, poi, improvvisamente, mi rivolgevo ad alta voce all'impiegata vicina: "Oggi è una bellissima giornata" le dicevo, sebbene il cielo fosse coperto di nuvole. La ragazza sembrava stupita e allora la fissavo con antipatia e mi alzavo per andare in bagno. Uscii dall'ufficio sette o otto minuti prima delle cinque. Per la via notai che le unghie delle mie dita erano troppo lunghe e ancora adesso ricordo l'angoscia che mi prese, chissà per quale motivo, fino ad aver voglia di piangere. Hanae era ferma ai piedi del ponte. La sua gonna mi sembrò troppo corta. Guardai per un attimo le lunghe gambe nude e abbassai subito lo sguardo. "Andiamo verso il mare" mi propose tranquilla. Ci incamminammo senza fretta; Hanae mi precedeva di qualche passo. Nonostante camminassimo separati, il nostro passo si accordò impercettibilmente, e questo mi mise a disagio. Il tempo era nuvoloso, soffiava un po' di vento che sollevava sabbia e polvere. "Qui si sta bene". Hanae si inoltrò fra le grosse barche tirate in secco e si sedette sulla sabbia. "Vieni. Seduti, al riparo dal vento, fa più caldo". Mi lasciai cadere a circa due metri di distanza dal luogo dove la ragazza si era adagiata, allungando le gambe davanti a sé. "Scusami se ti ho chiamato. Ma dovevo dirti una cosa. Si tratta dei miei risparmi. Non ti convincono, vero?" Ci siamo, pensai e le risposi con voce rauca: "No, non mi convincono". "È naturale". Hanae abbassò lo sguardo, raccogliendo la sabbia e facendola scorrere sulle gambe nude. "Non si tratta di denaro mio. Con i miei soldi non aprirei mai un conto in banca. Risparmiare poco a poco è una seccatura". Annuii in silenzio. "Il libretto è della signora, ma è un segreto. Non devi dirlo a nessuno. Ho una vaga idea del perché la signora faccia così ma è una cosa complicata. Non ho voglia di parlarne. Per me, è una situazione difficile. Puoi credermi?" Hanae tentò di ridere e mi accorsi che i suoi occhi brillavano stranamente. Erano lacrime. Avevo voglia di baciarla. Con lei avrei potuto accettare ogni disagio. "Le persone di questo posto sono odiose. Temevo che tu potessi fraintendermi e allora volevo dirti almeno questo. Perciò, proprio oggi ho deciso... " In quel momento da una baracca vicina si udì il suono del martello. Non era una mia fantasia; realmente, nella ri-

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