in guanti di ferro, e non sembrava neppure che mi appartenessero. Alla sera piombavo nel sonno come morto e, al mattino, non appena la sveglia suonava balzavo in piedi, correvo in ufficio e iniziavo le pulizie. In realtà, questo avrebbe dovuto essere compito delle nostre impiegate ma da quando era cominciato il trambusto per la conversione dello yen, una curiosa frenesia si era impadronita del mio modo di lavorare. Avrei voluto fare tutto, paradossalmente, oggi più di ieri, domani più di oggi, a ritmo accelerato e continuavo quella specie di corsa assai vicina alla follia con il vigore irresistibile di un leone. F inalmente, la confusione provocata dallo yen sembrò avviarsi alla fine. Quel giorno, come al solito, mi ero alzato alla fioca luce dell'alba, avevo fatto le pulizie con impegno e, quando tutto era sistemato, mi ero seduto dietro il mio sportello. Il sole del mattino illuminava in pieno il mio viso ed io, socchiudendo gli occhi pesanti di sonno, avvertivo, nonostante la stanchezza, un forte sentimento di orgogliosa soddisfazione. Il lavoro è sacro. Ricordando queste parole, ho avuto un sospiro di sollievo. Proprio allora, lontano, flebile, ho sentito il suono del martello. In un istante, tutto ha perso significato. Mi sono alzato, sono tornato nel- , la mia stanza, e mi sono addormentato tirandomi la coperta · sulla testa. Quando mi hanno chiamato per il pranzo, ho risposto bruscamente che non mi sentivo bene e che quel giorno non mi sarei alzato. In ufficio erano più indaffarati che mai, e il fatto che il migliore impiegato restasse a casa creava certamente problemi; eppure sono rimasto tutto il giorno in letto a sonnecchiare. Per questo mio capriccio, naturalmente, anche la riconoscenza verso lo zio si trasformava in debito, ma ormai non avevo più nessuna voglia di impegnarmi. Il giorno successivo mi sono alzato molto tardi, mi sono seduto svogliatamente dietro lo sportello sbadigliando in continuazione e lasciando sbrigare la maggior parte del lavoro all'impiegata che mi sedeva accanto. Nel giorno seguente e negli altri ancora, fui svogliato, pigro, imbronciato, insomBibliotecaGino Bianco STORIE/DAZAI ma diventai un normale impiegato dietro lo sportello. "Non stai ancora bene?" mi chiese lo zio direttore. Provai a sorridere. "Fisicamente sto bene. Forse è un esaurimento nervoso". "Certamente, certamente" riprese lo zio con aria sicura di sé. "Lo sospettavo. Questo succede perché non sei molto intelligente, eppure leggi libri difficili. Sarebbe meglio che le teste dure, come me e te, lasciassero perdere i libri astrusi". Si mise a ridere e anche io ebbi un sorriso forzato. Mio zio aveva probabilmente frequentato le scuole superiori, ma in lui non c'era la minima traccia dell'intellettuale. Quindi, in seguito (ha notato che nelle mie frasi compaiono spesso parole come "quindi", "in seguito"? Sarà forse questa la peculiarità stilistica di una persona poco intelligente? La cosa mi preoccupa ma, dal momento che queste parole escono .spontaneamente, lascio perdere), in seguito, dicevo, mi sono innamorato. La prego di non ridere. D'altronde, anche se ridesse di me, non cambierebbe niente. Un pesciolino tropicale dell'acquario può stare immobile, sospeso nell'acqua a pochi centimetri dal fondo e all'improvviso trovarsi il ventre colmo di uova; così io che trascorrevo il tempo senza nessun entusiasmo, ad un certo momento, ho vissuto un timido amore. Quando ci si innamora, sembra che la musica pervada il nostro corpo. Credo che sia questo il sintomo più preciso delle pene d'amore. Il mio era un sentimento non corrisposto, eppure amavo disperatamente quella ragazza. Lei faceva la cameriera nell'unico, piccolo albergo del villaggio, sulla costa. Non aveva ancora vent'anni. A mio zio direttore, piaceva bere e ogni volta che il villaggio organizzava qualche banchetto nella sala della locanda, immancabilmente partecipava. Era diventato amico della ragazza e quando questa compariva nell'ufficio postale, al di là dello sportello, per un deposito o per un'assicurazione, lo zio la prendeva un po' in giro, con qualche logora battuta che non era neppure divertente. "Gli affari ti vanno bene, a quanto vedo. Ti dai molto da fare per il tuo conto in banca. Brava. Hai trovato per caso un buon mar.ito?" "Che discorsi inutili". La ragazza sembrava davvero con41
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