Linea d'ombra - anno VI - n. 23 - gennaio 1988

STORIE/PAZ morì bevendo Pineral sempre nella stessa locanda, e al quale l'unico lavoro che vidi fare in quegli anni fu giocare alle bocce. Avevo circa dieci anni quando ci trasferimmo a Quilm, il periodo più felice. Avevo più o meno dodici anni, da poco era nata mia sorella Hilda, quando vidi uno stupendo quadro e sentii parlare per la prima volta di un pittore: si chiamava Carlos Morel. Quell'anno cominciai a dipingere e non mi fermai più. Ebbi alcune crisi lungo il cammino, alcune pause più o meno lunghe, ma da allora il mondo solitario e appartato delle immagini nate interiormente fu il mio mondo. Ciò nonostante non avevo sentito parlare di Bonnard, Cézanne né di Gauguin; conoscevo invece perfettamente alcuni tanghi come Perca/, Ventarr6n, Tarde Gris, Sur, sapevo distinguere Gardel da Corsini, Fiorentino da Vargas e amavo profondamente Trenzas nell'interpretazione di Rivero. Ho cominciato leggendo Giulio Verne, Dumas, Raymond Chandler, Horacio Quiroga, José Hernandez, Rilke e Poe. Allora conobbi Juan Battini, fabbricava scope a mano ed era filosofo; era la prima volta che vedevo un filosofo, ma dato che viveva dietro casa mia era meno impressionante. Una volta gli domandai: "Juan, dopo il lavoro, lei che fa?". Ed egli mi rispose: "Penso". Io gli dissi: "Allora non fa nulla?". Mi invitò a entrare in casa sua e mi prestò due libri indimenticabili: Gargantuae Pantagruel, e il primo dei dieci tomi della Storia universale dell'arte. Più o meno è in quel periodo che anch'io cominciai a pensare. Per esempio, non volli più andare a lavorare; non mi andava molto lavare vetri e consegnare pacchi della Farmacia Souto di Constituci6n, dopo aver già trascorso tutta la mattina a scuola. Poi entrai nella Facoltà di architettura e iniziai a lavorare come impiegato ai Frigoriferi La Negra. Qualche tempo dopo cominciai a lavorare come disegnatore pubblicitario, venditore di terreni a Mirmar e fabbricante di sgabelli a tre piedi (ogni tre sgabelli, con il piede che risparmiavamo rispetto a uno sgabello normale, ne guadagnavamo uno gratis), ma devo dire che era un lavoro molto instabile. Insieme con i soci dello sgabellificio decisi di scrivere la "Enciclopedia universale illustrata di Quilmes", che sarebbe stata organizzata più o meno così: io mi sarei occupato di illustrare le voci che non erano già state illustrate in altre enciclopedie mentre le parole le copiavamo a mano direttamente dalla fonte, la "Sopena", riunendoci nella Biblioteca Manuel Estrada di Quilmes, dalle otto di sera a mezzanotte, tranne i sabati e le domeniche che passavamo a trascrivere le bozze in bella copia e a discutere i disegni. Trascorsi tre mesi, desistemmo: giunti appena alla voce Abad, già avevamo una quarantina di disegni incomprensibili, eravamo pallidi, avevamo perso il senso dell'humour e la gioia di vivere. A quei tempi ero continuamente innamorato. Leggevo Paul Eluard, Sartre, Hammet, Borges, Bioy Casares, Le mille e una notte, Joyce, Juan Gelman, Tolstoj, Gonzalez Tun6n, Azorin, Dostoevskij. Attraversavo un periodo di una certa mediocrità sprirituale quando conobbi Clara, e, zac!, la mia Bi liotecaGino Bianco vita cambiò per sempre. Con Clara iniziarono le avventure a due. Con lei riuscii a perfezionare il ruolo dell'antieroe, a scoprire l'incisione con le visite a Narizzano, che ci prestava per pochi istanti un allucinante paesaggio all'acquaforte di Whistler, con lei ho potuto intuire la complicità come l'altra faccia dell'amore. Nel 1965 realizzai la mia prima incisione, una puntasecca, e già avevo abbandonato la facoltà per la pittura, e tutti gli entusiasmi per l'entusiasmo d'incidere. ' Ci fu un altro periodo, che potrei definire d'industrializzazione, nel quale parte dei nostri sforzi si concentrò nella costituzione di un'azienda per la fabbricazione di puntine d'acciaio con testa in plastica, ideali per disegnatori, architetti, artisti e casalinghe. L'idea ebbe una buona riuscita, perché le scatolette erano molto belle e il nome giusto: Claju (ovviamente Clara-Julio). Ci lavorava tutta la famiglia come nei racconti di Corta.zar: mio padre con l'iniettore che produceva sei puntine ogni cinque minuti, mia madre che le contava e ogni venticinque le metteva in una scatoletta, Hilda si occupava del controllo qualità e stampava con un timbro la dicitura del colore che apparentemente corrispondeva al contenuto. Clara fungeva con me da rappresentante, distributore, compilatore di fatture, fattorino e direttore generale. Tutto si svolgeva nel cortile della casa di Quilmes, su una superficie di circa sette metri per quattro. Questo periodo d'industrializzazione fallì quando un colorificio ci fece

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==