SAGGI/CARPENTIER così antiche che se ne ignora la data di nascita, signoreggiando su canali e maggesi, i dintorni della grande città di Pechino. T orno dall'Islam. Mi sono piacevolmente emozionato davanti a paesaggi così quieti, così ordinati dalla mano del seminatore e dalla mano delle potatrici, così estranei a ogni elemento vegetale superfluo - con la presenza dei rosai e dei melograni con una fontana al fondo - che si potrebbe evocare, davanti a loro, la grazia di alcune delle migliori miniature persiane, anche se, in verità, mi trovavo abbastanza lontano dall'Iran e senza sapere, con assoluta certezza, se le miniature evocate avessero a che vedere con tutto ciò. Ho camminato per strade silenziose, perdendomi in labirinti di case senza finestre, scortato dal favoloso odore di grasso di montone caratteristico dell'Asia Centrale. Mi sono sorpreso davanti alla diversità di manifestazioni di un'arte che sa rinnovarsi e giocare con i materiali, con le tessiture, vincendo il terribile scoglio della proibizione - ancora molto osservata - di figurare la figura umana. Ho pensato che quanto ad amore per le strutture, per i sereni •equilibri geometrici o per i sottili rivolgimenti, gli artisti maomettani davano prova di un'immaginazione nell'inventiva astratta comparabile solo con quella che è possibile contemplare, andando in Messico, nel piccolo e meraviglioso patio del Tempio di Mitla. (Per loro la vera arte continua ad essere rigorosamente non figurativa, mantenuta ad un'arrogante distanza da dove si polemizza intorno a realismi fin troppo chiacchierati ... ) Sono stato sensibile allo svettare dei minareti, alla policromia dei mosaici, alla potente sonorità dei gusle, al sapore millenario, precoranico, del pane senza lievito, che esce per peso proprio dal forno del panettiere, quando arriva al punto. Ho volato sul mare d'Arai, così particolare, così strano per forma, colori e contorni COQ1e il lago Baikal, che mi stupisce per il suo complemento montuoso, le sue stranezze geologiche, per le tante cose che quel"fuogo remoto ha in comune con l'estensione, la dismisura, la ripetizione - l'interminabile taiga, una trasposizione della nostra selva; interminabile\enissei, accresciuto per cinque leghe all'intorno (cito Ysevolod Ivanov) da piogge simili a quelle che fanno crescere un Orinoco per le stesse cinque o sei leghe dei suoi straripamenti ... Eppure, nonostante ciò, al ritorno mi ha preso la gran malinconia tipica di chi voleva capi~e e ha capito la metà. Per poter capire l'Islam appena intravisto, mi sarebbe stato necessario conoscere qualcuna delle lingue che lì si parlano, avere notizia di qualche antecedente letterario (qualcosa di più consistente, certo, di quello dei Rubayat letti in spagnolo, o delle avventure di Sinbad o di Aladino, o della musica di Tamara di Balakirev, o di Shéhérazade o di Antar di Rimskij-Korsakov ... ), della filosofia, se ve ne è in mera funzione filosofica, della grande letteratura gnomica di quel vasto mondo in cui certi principi atavici continuano a pesare sulle mentalità, anche se differenti contingenze politiche sono 816 liotecaGino Bianco Incisione di Frederick Catherwood (Yucatan 1843) restate indietro. Ma io che volevo capire, ho capito a metà, perché ignoravo la lingua o le lingue che lì si parlano. Dalle librerie mi sfidavano volumi ermetici i cui titoli erano disegnati con arcani segni. Conoscere quei segni sarebbe stato il mio desiderio. Mi sentivo umiliato di fronte a un'ignoranza che comprendeva anche il sanscrito e l'ebreo classico - lingue, peraltro, che non si insegnavano alle università latinoamericane della mia adolescenza, lì dove perfino il greco, il latino, erano guardati con diffidenza come cose che un prammatismo di nuovo conio relegava fra le oziose distrazioni del1'intelletto. Ero cosciente, tuttavia (e ne avrei avuto la prova arrivando a Bucarest) del fatto -che per capire le lingue romanze, un latinoamericano ha bisogno solo di qualche settimana di convivenza. Così, davanti ai segni inintellegibili che mi si presentavano, ogni mattina, nei titoli dei giornalì locali, sentivo come uno scoramento continuamente rinnovato, pensando che non mi sarebbero bastati i giorni di vita che mi restavano (che possono rappresentare vent'anni di studio per saperne di qualcosa?) per poter avere una visione d'insieme, fondata e universale, di ciò che è la cultura islamica, nei suoi diversi frazionamenti, nelle sue modalità, nelle dispersioni geografiche, nelle differenze dialettali, eccetera. Mi sentivo piccolo piccolo rispetto alla grandezza di ciò che mi si era rivelato; eppure questa grandezza non mi rivelava le sue misure esatte, le sue autentiche volizioni. Non mi offriva la maniera di dare ai miei, di ritorno da un così ampio vagabondare, quel che vi era di universale nelle sue radici, nella sua presenza e nelle sue attuali trasformazioni. Mi sarebbero state necessarie certe conoscenze indispensabili, determinate chiavi che, nel mio caso, e nel caso di tanti altri, avrebbero richiesto una specializzazione, una disciplina di quasi un'intera vita. Q uando, di ritorno dal 11:ngçi,)aggio, sono arrivato in Unione Sovietica, la sensaziùne di incapacità di comprensione si è enormemente alleviata, anche se non conosco quella lingua. L'architettura magnifica, insieme barocca, italiana, russa, di Leningrado mi era cara già prima di vederla. Conoscevo quelle colonne, conoscevo quegli astragali, conoscevo quegli archi monumentali, aperti su blocchi di edifici che evocano Yitruvio e il Vignola, e forse perfino il Piranesi. Rastrelli, l'architetto italiano, era stato lì dopo aver molto vagabondato per Roma. Le colonne rostrate che si alzavano lungo la Neva mi appartenevano. Il Palazzo d'Inverno, profondamente azzurro e spumosamente bianco, con il suo nettunesco, acquatico barocchismo, mi parlava con voci note. Laggiù, oltre l'acqua, la Fortezza di Pietro e Paolo mi si stagliava con una sagoma familiare. E non è tutto: Caterina la Grande era stata amica e protettrice di Diderot. Potemkin era stato amico di Miranda, il venezuelano precursore delle indipendenze d'America. Cimarosa ha vissuto e composto in Russia. E poi l'Università di Mosca porta il nome di Lomonosov, autore di una Ode alla grande Aurora Boreale che è una delle migliori realizzazioni di certa poesia del
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==