Linea d'ombra - anno VI - n. 23 - gennaio 1988

IL CONTESTO DILATO CANZONIDAAUTORADIO Marco Onorati Di veri discorsi musicali in Italia ce ne sono solo tre: Paolo Conte, Matia Bazar e Lucio Battisti ma questo ora non importa perché a me stavolta mi preme di parlare di Fabio Concato perché mi è venuta una intuizione pura, di quelle che fanno luce tutto intorno e per un momento ti danno il senso della vita e allora da questa intuizione pura mentre ero in macchina che tornavo da Torino a Latina ed era di notte e l'autostrada era piena di Tir (Tirs?) ed eravamo più o meno all'altezza di Orte ed ecco che con una intuizione pura l'ho sistemato e gli ho dato un posto nel titubante panorama della canzone italiana, proprio come cantante da autoradio, appunto. In realtà io una cassetta di Fabio Concato ce l'avevo già da più di un anno ma il fatto è che lui è uno sconsiderato, spregiudicato, senza vergogna che nelle canzoni ci mette tutte delle frasi incresciose, melense e fuori moda e appena può si lascia andare a certi gorgheggi da blues mediterraneo sbiadito che sarebbe meglio li lasciasse fare a qualche imbecille tipo Claudio Baglioni, mi fa schifo Claudio Baglioni, scusate, e insomma non è tanto facile aderirci e lasciarsi andare, alle canzoni di Fabio Concato, voglio dire, e se uno le ascolta con un po' di attenzione, allora ogni tanto, si piglia come certe brutte scosse fastidiose che poi ti fanno come da tirarti indietro. Anzi, una volta che sentivo una canzone per radio, e non sapevo chi era che le cantava, ho pensato ma chi è questo idiota, e poi la signorina ha detto che era Fabio Concato, e poi davvero che non mi ricordo più perché ho comprato la cassetta, ma forse la avevo già comprata, non so. Adesso viene il bello perché dobbiamo fare un po' di sociologia. Perché io faccio il pendolare tra Latina e Roma e prima, che lavoravo al centro, potevo andarci in treno e la sera comunque riuscivo a tornare a ore decenti. Allora viaggiare in treno è una esperienza che vale la pena, si imparano un sacco di cose del mondo, però poi, alla sera, ci vuole mezz'ora di doccia e mezz'ora di solitudine, ma mica per i lividi, cioè, sì, ma quelli dello spirito, voglio dire, perché stai sempre sbattuto tra la gente. Troppa: treno, autobus, il bar della stazione, e poi l'ufficio, che quello, allo spirito, è quello che gli fa riù malattia. Insomma, la solitudine. Poi, dopo, mi hanno cambiato la sede di lavoro che a quella nuova pe~ arrivarci liotecaGino Bianco con treno e autobus ci metto un'ora in più all'andata e una ora e mezza in più al ritorno e allora vado in macchina, che pure è più faticoso e bisogna stare sempre attenti, però si guadagna tempo e perfino soldi perché a noi, dove lavoro io, ci danno il rimborsobenzina. La differenza tra operai e impiegati è che gli operai uno prende la macchina, magari a turno, e porta pure i compagni, e gli impiegati, invece, viaggiano da soli, e va bene che c'è sotto pure un motivo di soldi ma il motivo vero è un altro perché gli impiegati facciamo una vita di merda e a uno che ce l'hai alla scrivania a fianco tutto il giorno ti mancherebbe pure che te lo ritrovi in macchina, no, puttana eva, no, che almeno quelle ore in macchina me ne sto da solo, penso ai cazzi miei, mi ficco le dita nel naso senza ritegno, faccio tutto quello che mi pare, canto, piango, sento la musica. Sento sempre la musica quando sto in macchina, ecco perché sono diventato tanto sensibile. Dunque, Fabio Concato. Fabio Concato bisogna averci un buon impianto in macchina per ascoltarlo bene e io non ce l'ho e forse è per questo che ci ho messo tanto a capire, perché l'altra notte viaggiavo in macchina con mio cugino e l'impianto era il suo e pure se lo mettevi basso, perché facevamo i turni a guidare e mentre io guidavo lui dormiva, pure se lo mettevi basso si sentivano tutte le sfumature, tutte le sonorità, perché la macchina di mio cugino è così silenziosa, e allora Fabio Concato te lo senti cantare vicino, melodia, un po' di swing e molte sfumature, e con la macchina che cammina anche i gorgheggi da blues mediterraneo sono per niente sbiaditi e da soli ti scaldano il cuore. Così uno può continuare così a dare ascolto ai suoi pensieri, oppure non pensare, con l'accompagno della musica, oppure può mettersi proprio ad ascoltare e allora viene il bello. Perché in sostanza Fabio Concato, fa così: prende delle scene della vita di tutti i giorni normali, gente in macchina, in tram, in treno, come noi, voglio dire, gente che fanno la dieta o che si prendono un giorno di vacanza, che si addormentano, oppure mentre si svegliano, oppure ancora che non riescono a dormire, prende questa gente, anzi per ogni scena prende una persona, gli dice guarda che sei solo, lo libera e lo svuota di tutto, poi gli dice ora dimmi quello che senti. Lo apre. E va a vedere dentro se dopo svuotato di tutto, dentro ci rimane ancora qualcosa che vale la pena, qualche sentimento puro, voglio dire, qualche goccia di umanità che a vedere da fuori si direbbe che no. Allora se tu sei solo in macchina e stai guidando allora ti viene voglia di fare lo stesso, ti vai a frugare in fondo, provi a liberarti di tutto e magari non ci riesci oppure magari sì però dentro non trovi niente e allora sì che è un disastro ma questo non è mica colpa sua, di Fabio Concato, voglio dire, ma solo tua che vuol dire che ne hai sbagliato tutto, e però se invece trovi qualcosa allora la medicina ha funzionato e uno capisce che .può andare avanti, mica solo a guidare ma proprio nella vita, voglio dire. E c'è ancora di più perché Fabio Concato canta Guido Piano che è l'inno dell'automobilista solitario, ecologico, romantico, che io vorrei dedicare a tutti i pendolari da Roma a Latina ma a rovescio di come lo faccio io, che li incrocio tutti i giorni, poveracci, che per noi di Latina ci sembra naturale di andare a lavorare a Roma ma per quelli di Roma è tutto il rovescio e sicuro che gli sembra tutto controsenso, ma mica solo questo perché in più hanno pure il sole in faccia all'andata e al ritorno, quando non piove, voglio dire, e li vedo coi loro occhiali neri che si perdono tutti i momenti belli come il cielo che si squarcia di rosa al mattino che io lo posso vedere allo specchietto come a una televisione e come il sole che si abbassa e cambia colore alla sera e piglia di fuoco e cambia la luce tutto intorno, e invece per loro è solo il fastidio della luce in faccia, poveracci, che ascoltassero almeno Guido Piano, anche se poi magari gli fa venire voglia di cambiare strada, cambiare tutto, questa vita di merda, che non si riesce più a respirare, non c'è più nessuno che sa stare ad ascoltare, nessuno che ha più niente di buono da dire, e non si sa nemmeno da dove abbiamo cominciato e non posso andare avanti che mi viene da piangere ...

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