nuove le cose che saranno nuove; con l'altro si continuerà a ripe1eresempre lo stesso discorso come un organello, e a vedere grigi umi i galli. Da questo deriva che la figura ideale di /euore che presupponiamo per la /eueratura, è molto diverso per Guglie/mi e per me. Come le/lori ideali per la leueratura io penso alle uniche persone che per me contano, cioè a quelle impegnati a progelli per il mondo futuro (cioè quelle per cui conia la reciproca influenza tra progettazione poetica e progeuazione politica o tecnica o scientifica ecc.) e più precisamente impegnale a una razionalizzazione del reale (a cui vale la pena dedicarsi proprio perché il reale non è di per sé razionale) e voglio che ques/e persone si valgano di quella particolare intelligenza del mondo che la letteralura e solo la /e1tera1urapuò dare. li discorso di Guglie/- mi presuppone invece il lellore che del momen10 di scacco della razionalità (momento inevilabile eforse necessarioin ogni processo di razionalizzazione) si compiace, perché così trova un alibi, una vacanza, e crede che si possa auendere in pace lafine di tu/li i vecchi valori, e conseguentemenle la rivelazione di valori nuovi, (a/lesa vana, perché è solo nella ricerca continua di valori che la crosta dei valori vecchi si sgretola - spesso conlro le s1esse intenzioni del ricercatore-, men/re a chi crede di potersi troppo facilmente dichiarare libero dai valorid'oggi subito gli s'ispessisce addosso la crosta dei valori di ieri, e chi si crede in vacanza dalla storia subito si ritrm•a a girare nella giostra d'una storia soltanto più antiquata e prevedibile). Altra differenza di fondo è in quel che si cerca nella lelleratura: c'è chi cerca qualcosa che prima non sapeva o non capiva e c'è chi cerca la conferma delle idee che ha già. Il primo valoreè quello che volgarmente è detto la "poesia"; il secondo è lo scaldino dei vecchi professori. Se dico che /'es/etica di Guglie/mi somiglia a quella degli hegeliano-lukàcsiani (certo che arrivano a risullati opposti; bella scoperla! se no che gusto c'era a dire che si somigliano?) e che è estetica da professori l'una e l'altra, perché entrambe cercano nella leueratura le illustrazioni, gli exempla, d'un discorso fallo in altra sede. Il discorso critico generale che ho tentato più volte in successiviabbozzi ha solo questo filo: (anche) la poesia del negativo è sempre (non solo recuperabile ma) necessaria a una progeuazione positiva del mondo. Questa è la mia nozione di "impegno", diversa - mi pare - da quella più divulgata a cui Gugliemi mi assimila. Se avesse compreso ques10, gli sarebbe anche stato chiaro che ibliotecaGino Bianco DAILETTORI quando, alfinale di quel mio saggio, ho parlato di una /euera111radella sfida al labirinto e una di resa al labirinto, non ho fauo (come a/1rove) una classificazione di autori, gli uni da una parie e gli altri dall'altra. Pensavo piu[{osto a due essenze da - come ho scriuo un - enucleare e distinguere a/l'interno dei vari autori e delle varie opere. Insomma, voglio che la disperazione di Beckell serva ai non disperali. Tanto, i disperati - ossia gli obbedienti ciuadini del caos - non sanno che farsene. I.C. (da "Il menabò" n. 6, Einaudi, 1963) ANCORASU"PALOMAR" Massimo Sola Sono convinto che Palomar sia un testo (è un romanzo? non lo è? che altro è? già nel tentativo di definirlo ci si trova spiazzati: sintomo che denota un'impreparazione, come tutte le volte che ci appare qualcosa di nuovo) con una forte carica innovativa; inoltre è il libro che ha offerto la più esauriente risposta allo sciocchezzaio postmodernista comparso qui e là anche in campo letterario. Qual è stato il romanzo postmoderno per eccellenza? È facile: Il nome della rosa. Cosa si proponeva il suo autore scrivendolo? La rivisitazione ironica del passato, lo dice lui stesso: tale sarebbe la risposta postmoderna al moderno, in quanto essendo il nostro un mondo disincantato non è più possibile parlare in modo innocente; assolutamente da evitare è poi la falsa innocenza. Su quest'ultimo punto si può essere d'accordo, ma solo su questo. Qual è invece l'atteggiamento di Palomar durante le sue avventure di abitante del duemila? Quello di chi non accetta di vedere le cose con gli occhi degli altri. Non solo; non accetta neppure di vederle con i propri occhi, con i propri occhi di sempre. Ruota continuamente, come in un girontondo infantile, attorno alle cose mai soddisfatto del rapporto che riesce a instaurare con esse. Una cosa gli riesce: prova a vederle, e a pensarle, sembrerebbe fino a quando perlomeno non le vede più nello stesso modo in cui le vedeva prima di cimentarsi in questo gravoso esercizio. Tutto ciò che abbiamo ricevuto dal passato, le esperienze i libri, .ci è giunto come un dono che non sempre siamo in grado di accettare, non sempre meritiamo. Quanto è possibile ricevere senza provare a ripercorIL CONTESTO rere le strade che portano fino a noi? Palomar-Calvino senza azzerare le proprie conoscenze, cosa del resto improbabile da ottenere, ma mettendole un poco in disparte in un luogo dove è facile pescare conferme o smentite allorquando se ne senta la necessità, prova a chiedere alle cose l'impossibile, di provocare cioè in lui meraviglia; è in quell'attimo che le si può "rivedere" per la prima volta. Palomar non è mai certo che ciò che rimane impigliato nelle reti che getta nel mare delle sue esperienze sia qualcosa che abbta un senso compiuto; nel dubbio continua a lanciarle. Quando finalmente capisce quale sia il suo compito, è tardi: Palomar muore (anticipando in questo di poco tempo il suo alter ego Calvino). Ma è davvero così drammatico e senza speranza questo finale, come qualche lettore disattento ha avuto mcido di affermare? E soprattutto è così determinante in un libro come questo dove ogni definizione viene continuamente rimessa in gioco a ogni pagina, e dove la scrittura è tutta tesa· a descrivere il passaggio da un (precario) equilibrio, raggiunto a fatica, a un altro che precario lo sarà di lì a poco, al sopraggiungere di una nuova idea che confuterà la precedente? Calvino amava Roland Barthes, e in uno scritto in sua memoria dice (riportando un giudizio di Greimas ma che senza dubbio condivideva) che Barthes è inclassificabile come studioso perché tutto ciò che ha fatto nella vita lo ha fatto per amore, giungendo al punto che meditava fosse possibile una nuova scienza per ogni oggetto. In questo modo sarebbe stato possibile restituire, nell'oceano degli oggetti, l'individualità ad ognuno di essi. Di questa teoria non poco è presente in Palomar. Calvino doveva averne subito il fascino. Rendere l'individualità alle cose diminuisce la distanza fra noi e loro, fra noi e la conoscenza di noi stessi; e dove risiede il senso della letteratura se non in questo? Con Palomar Calvino è andato oltre l'impasse in cui i teorici del postmoderno, stanchi e privi di idee, avevano fatto confluire il dibattito su ciò che è valido o meno in campo letterario, aprendo una nuova strada che, a ben vedere, ha radici profonde nei suoi primi libri: nel suo primo romanzo ad esempio, ma soprattutto in quei favolosi racconti dove i protagonisti erano degli adolescenti alla scoperta del mondo. Mondo che l'autore, attraverso i loro occhi, faceva riscoprire anche a noi lettori. 23
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