ILCONTUTO RIVISTE LA 11 LAICITA I I DEICREDENTI Mario Cuminetti Una mappa delle pubblicazioni di quell'area cattolica che dal concilio Vaticano li a oggi ha assunto una posizione variamente critica verso l'istituzione ecclesiastica, non è oggi facile per l'estrema differenziazione fra i gruppi e movimenti "dissenzienti". Anche se ci si limita ai periodici più noti e con pretese di diffusione nazionale - lasciando da parte i non meno interessanti fogli ciclostilati, giornaletti, piccole riviste locali, sovente di durata assai ridotta - le difficoltà non diminuiscono. Si è di fronte a posizioni diverse non solo per le finalità specifiche, la storia e l'evoluzione di ciasèuna pubblicazione, ma per la diversità dei gruppi che le producono, per il rapporto più o meno diretto con movimenti e organizzazioni, per le posizioni politiche dei redattori, per l'acquisita o meno libertà nei confronti delle gerarchie della Chiesa, per i legami più o meno diretti con la stessa istituzione ecclesiastica. È per questo che prima di offrire una panoramica di questo gruppo di pubblicazioni, credo necessario cogliere ed esporre - attraverso brani tratti da alcune di esse - quel minimo comun denominatore che le apparenta. Si tratta di cogliere l'orizzonte ideale entro cui si muovono, le acquisizioni di fondo, il modo con cui le storicizzano e le coordinate religiose (cristiane) e politiche che orientano la loro pratica. Sottolineo quest'ultimo aspetto - il modo di coniugare religioso e politico - non solo perché è una discriminante fra gli attuali movimenti cattolici, ma perché questa unità dinamica è un punto forte della tradizione giudaicocristiana. Sono anzi convinto che quel minimo comune che voglio esporre deve essere proprio cercato in questa direzione: nelle modalità ,con cui è oggi coniugata - per esprimermi con una terminologia che sta divenendo sempre più comune - la tensione escatologica e la "fedeltà alla terra". Esemplare, per iniziare, mi sembra questo brano di G. Tognoni nel "Bollettino di collegamento dei Preti Operai": "Essere preti-operai (ma il discorso vale per tutti) significa condividere la situazione di tutti coloro che, nella loro microstoria, sono portatori di un'idea molto grande, tale da sfidare le regole della macro-storia( ... ). Essere portatori - nella microstoria - di un'idea grande, coincide con l'essere membri e nodi di un popolo che ha come caratteristica quella dell'esilio, e perciò della nostalgia. Questo popolo di esiliati ( ... ) è quello che fa la storia nel suo significato più essenziale, perché ne rivela il senso: cioè l'incompiutezza ed insieme il rischio, la tentazione, la violenza, di cancellare la nostalgia, il cammino in avanti. Anche se li rimangia, la storia sarebbe deserta senza questi esiliati portatori di nostalgia. Perché essi dicono la storia che vorremmo vivere. Un'altra non ci interesserebbe. Quando riconosciamo, nella storia grande, le persone che ci dicono qualcosa è come se tracciassimo la mappa di quel popolo che vorremmo essere. È come se raccontassimo o ci accorgessimo di una storia del nostro sguardo: noi siamo capaci di vedere solo con quegli occhi. Anche se, a volte, vien voglia di chiuderli, o di desiderare di avere uno sguardo diverso( ... ). La nostalgia è una identità ( ... ). Se la nostalgia è l'identità anagrafica, la speranza non è qualcosa che dobbiamo trapiantarci dentro periodicamente per darci senso( ... ). Quando la nostalgia riguarda la storia nel suo complesso, ad una guerra di liberazione ne segue un'altra: non perché siamo malati della malattia del guerrigliero, ma perché il confronto tra la grande-idea e la grandeopacità è la sostanza stessa, l'identità, del nostro essere popolo-del-lievito. La speranza-nostalgia come logica-modo di camminare, tessiturade/là nostra lingua e del nostro sguardo.'' Anche se questo brano appare praticamente unico nell'area che interessa, esso esprime assai bene - forse a un livello che non è stato raggiunto dalla maggioranza - la storicizzazione laica del discorso cristiano non disgiunta, anzi, inseparabile da quella tensione escatologica a cui ho accennato. È l'acquisizione di un modo di vivere "coram Deo" che diventa anche anche demarcazione rispetto a movimenti (tipo C.L.) che pure coniugano strettamente spiritualità e politica, ma giungono a posizioni opposte. Un altro esempio di questa acquisizione, "1bliotecaGino Bianco formulata con un linguaggio più aderente alla formulazione tradizionale del cristianesimo e legato a un problema preciso, lo possiamo cogliere in un articolo di D. Jervolino, nella rivista "Il Tetto" di Napoli. Parlando del problema della dissociazione dei terroristi - dissociazione confusa sovente con il così detto "pentitismo" - l'autore distingue fra remissione dei peccati, pentimento cristiano e azione sociale e politica dei credenti. "I credenti e le chiese", scrive, "hanno certamente un messaggio da annunciare ed è la riconciliazione di Dio con l'uomo, quella pace che è Dio stesso, il regno venturo, nel quale si prefigura una umanità riconciliata. La forza di tale messaggio certamente spinge verso una riconciliazione interumana anche in termini storico-sociali, verso una cultura e civiltà della pace. Ma sarebbe un errore identificare il livello escatologico dell'annuncio di fede con quello etico-sociale, che può e deve essere perseguito nel tempo intermedio della storia e della prassi politica. Tale identificazione porterebbe all'integralismo o al millenarismo. E invece la ricerca della pace è un obiettivo storico concreto, anche se colorato di utopia(.:.)". In questa ricerca storica, laica, da compiere insieme fra credenti e non credenti, non si può tuttavia considerare come non influenti i concetti cristiani in questione. "Ancora una volta, noi non pensiamo che concetti cristiani come il perdono e la riconciliazione possano essere trasposti in tutta la loro valenza teologica sul piano sociale. C'è una profonda verità nell'affermazione che solo Dio può rimettere i peccati e solo Lui conosce i segreti del cuore. Ma non ci rassegnamo nemmeno,, dopo venti secoli di cristianesimo, a considerare tali concetti come un mero affare privato, per cui si riprodurrebbero forme paradossali di dualismo. Siamo portati a ritenere, piuttosto, che esiste un analogo umano, per così dire, di quei concetti, frutto magari di quei venti secoli di predicazione cristiana, un analogo che appartiene ormai al patrimonio comune dell'umanità; e che si possa e si debba quindi parlare di comprensione e di dialogo, di trasformazione dell'uomo e di ricomposizione dei legami interumani violati". Questi risultati son frutto di un cammino dal Vaticano Il a oggi, passando e partecipando ai movimenti del '68, a quelli della seconda metà degli anni '70 fino a quelli propri degli ultimi anni. Un movimento che, coerentemente al modo di porsi dei movimenti nella società contemporanea è avanzato e maturato attraverso esperienze frammentarie, ma creative; senza molta
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