Linea d'ombra - anno VI - n. 23 - gennaio 1988

DISCUSSIONE Ma il suo linguaggio cambia quando non si tratta più di emettere un giudizio globale e sovratemporale sull'intera nazione germanica, bensì di rievocare il tuono che in un preciso momento della storia tedesca, dalla Germania è partito: "Chi ha visto al cinema i colloqui di Hitler con la folla, ha assistito a uno spettacolo tremendo. Si formava una mutua induzione, come fra una nuvola carica di elettricità e la terra. Era uno scambio di fulmini. Hitler rispondeva alla reazione che lui stesso provocava ... " ... e di rimando ne provocava una nuova, che con ossessivo rimbalzare di echi risuonava per tutta l'Europa occupata, e diventava assordante, obnubilante, in ogni angolo dell'universo concentrazionario nazista. Lì gli aguzzini, con la materia grigia e le corde vocali rese incandescenti dal continuo scambio di fulmini_col loro capo, sapevano solo urlare comandi: "L'ordine veniva urlato, ma non si capitava", narra Primo Levi, "quindi si arrivava sempre ultimi. Chiedevi informazioni, notizie, spiegazioni al tuo compagno di letto e quello non ascoltava e non capiva." Il linguaggio si rivela così un indispensabile mezzo di sopravvivenza. Sopravvivenza fisica, quando si tratta dell'idioma tedesco delle guardie del campo, e quindi della possibilità di afferrare in tempo i loro ordini e di non incorrere in punizioni. Sopravvivenza morale, se vissuto come possibilità di intendersi con i compagni di prigionia, che venendo da paesi svariati e spesso distanti fra loro, parlano lingue diverse. E la Babele delle lingue, spiega Levi, "era un primo, grosso ostacolo." Dice "primo ostacolo", perché ancora un altro ostacolo, sempre di natura linguistica, si ergeva fra la possibilità di sopravvivenza sia fisica che norale, e la maggior parte dei detenuti: quello dell'abbrutimento che scarta qualsiasi possibilità di dialogo, della disperazione che impedisce l'uso della parola fraternamente rivolta da un uomo a un altro uomo, e trasforma degli esseri umani in esseri selvaggi. A questi esseri non più capaci di colloquiare sono dedicati i passi più toccanti del libro, ma altri ce ne sono, sempre in qualche modo legati al linguaggio, quale, per fare un solo esempio, il passaggio di Levi da testimone a narratore e a romanziere - cioè il suo iter letterario, dal quale si può dedurre il suo iter umano e spirituale. Come ho già detto, non ne parlo per non togliere a chi leggerà il gusto della scoperta e del raffronto. Trattandosi però di linguaggio, vorrei avvertire proprio chi leggerà - specie se già conosce l'opera di Primo Levi - di non cercare qui la purezza del suo stile letterario, la cristallina trasparenza delle sue frasi. Qui, spesso e comprensibilmente, queste due caratteristiche del suo scrivere mancano, perché questo libro Primo Levi non l'ha scritto al tavolino, cambiando le parole e gli accenti, oltre che i loro contenuti. Anzi, non lo ha scritto affatto. Lo ha parlato insieme con Ferdinando Camon, scrittore a sua volta e in questo caso intervistatore, che ha trascritto, e si sa che parlando, nella foga del discorso possono passare inosservate cadute di lin- ' bIi OÌ8C8 Gino Bianco guaggio che solo in un secondo tempo, se messe sulla carta, destano sorpresa. So che hanno destato sorpresa in alcuni che, tratti in inganno da quanto è stampato in copertina, hanno sfogliato il libro leggendo qua e là, per cui, trattandosi sempre di linguaggio, del linguaggio usato da uno scrittore, e a prescindere da quanto è stampato sul retro del libro, mi piacerebbe conoscere la ragione profonda per cui Camon ha scelto di intitolare questa sua intervista Autoritratto di Primo Levi. Non dovrebbe, un autoritratto, scaturire libero dalla penna, dal pennello e comunque dal personalissimo impulso di chi si autoritrae? E, per contro, con le sue sollecitanti domande, l'intervistatore non incanala forse in una propria personale direzione la libera voce dell'intervistato? Queste domande non devono suonare come critica. Sono legittime in chi, dovendo parlare, ha il dovere di riflettere sull'autore di cui parla, e che in questo caso ha la responsabilità di trovarsi a confrontarne due contemporaneamente in un libro che è, ripeto, peculiarissimo nel suo genere e pertanto di notevole interesse. · Ma parlare di un libro non comporta il chiudersi in una laudativa accettazione, frustrante per chi parla quanto controproducente per gli autori di cui si parla, e che chi parla avrebbe il dovere di rispettare. Mi sia perciò concesso di dissentire con la chiusa della presentazione all'intervista vera e propria. Scrive li Camon: "Parlava con voce bassa, senza sussulti, senza scatti, dunque senza rancore. Mi sono interrogato spesso sul perché di questa mitezza. L'unica risposta che viene ancora oggi è la seguente: Levi non gridava, non insultava, non accusava perché non voleva gridare; voleva molto di più: far gridare. Rinunciava allapropria reazione in cambio della reazione di noi tutti. Ragionava sui tempi lunghi. La sua dolcezza, la sua mitezza, il suo sorriso, erano in realtà le sue armi." Ebbene io, suscettibile quanto maniaca delle parole e usa a leggerle in base a una formazione culturale diversa da quella di Camon, ma certo mossa dallo stesso suo desiderio di conservare viva e quindi fruttuosa l'eredità morale di un uomo che penso abbiamo entrambi molto amato e al quale vogliamo sia reso omaggio, ho la sensazione che, scrivendo, Camon sia stato qui mosso da un pathos sincero quanto incauto, che agli occhi di alcuni potrebbe risultare fuorviante, appannando proprio l'immagine che egli stesso vuole presentare e che per tanti versi ha egregiamente fatto emergere dall'intervista. Qualcuno potrebbe infatti chiedersi: se Primo Levi parlava come parlava in quanto senza rancore, come poteva rinunciare alla spontaneità di una umana e naturale reazione (cioè al proprio urlo di dolore) in cambio di una reazione urlata da altri? E se contava sui tempi lunghi forgiando al contempo la dolcezza come un 'arma, la sua mitezza, la sua mancanza di sussulti non potrebbero da alcuni venir scambiate per falsità: la classica doppiezza giudaica?

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