Linea d'ombra - anno V - n. 22 - dicembre 1987

DISCUSSIONE sue culture, viene da lontano, ma dove arriva? Il disagio, lo spaesamento, la paura che dall'interno corrodono l'Occidente (e si alternano alle sue tentazioni autoritarie, al compiacimento per i suoi privilegi inauditi), non sono, a volte, meno intensi e brucianti della scossa che spinge fuori dai paesi d'origine i popoli in marcia del "sesto continente". Verso i quali, anche restando nell'ambito degli atteggiamenti di "apertura", il grado e le forme della solidarietà variano di molto - dai pianti di coccodrillo, alle mega-kermesse tipo Live Aid, tra estetismo e ipocrisia, all'impegno costante e consapevole di movimenti e centri di cooperazione e solidarietà autentica. Di tali movimenti e gruppi l'Italia stessa è tutt'altro che carente, e il convegno milanese ne ha dato prova (proponendo testimonianze dirette e materiale di documentazione). Ma l'Italia è anche il paese in cui, ogni sabato sera, si regalano ottanta milioni a uno come Massimo Boldi (o, ancor più pagato, come Celentano, fa lo stesso) per dire quattro stronzate "spiritose" nella stessa trasmissione che mostra "in diretta", per la commozione e il "sentirsi buoni" di undicidodici milioni Auditel di italiani, la costruzione di un confortevole villaggio per i poveri africani sponsorizzata da un detersivo (e, naturalmente, abbinata al favoloso concorso ecc. ecc.). L'ultimo mito dell'Occidente, riversato ovunque, teleridondante, è il suo fare di ogni cosa spettacolo, immagine (per cui può esistere, e vendersi!, perfino il "look-povero") e, in quest'atto, cercare di sublimare i contrasti, le angosce, la perdita progressiva di radici e di identità. Così, come un tempo di questo disagio si faceva arte, o pensiero critico, sempre più spesso oggi si fa spettacolo, merce e mistificazione. Cresciuti altrove, il sogno del Brujo e i bisogni di qualsiasi emigrante in fuga o alla ricerca di rifugio e di fortuna, arrivano qui. Dove, in effetti, essi infine si trovino non è facile dire. PICCOLOPRIVATO E GRANDEPUBBLICO Piergiorgio Giacchè La vera cultura, quella utile, è sempre una sintesi fra il sapere accumulato e l'osservazione instancabile della vita vivente. F. Alberoni C'è qualcosa di nuovo oggi nel libro. Anzi d'antico. Se talvolta capitava che illustrazioni artistiche o voluttuose ingannassero il compratore di volumi noiosi o ponderosi, oggi si è tornati a rinnovare una più sincera corrispondenza tra confezione e contenuto. Se questo vale per il lancio dell'ultimo libro da spiaggia, che tanto ha fatto parlare (e vendere) per la sua copertina gonfiabile, non tutti hanno raccolto e compreso il segnale di disimpegno, con cui si è varato il modello estivo della gloriosa ibliotecaGino Bianco serie "saggi blu" della Garzanti. Eppure la sopra-copertina balnear-metafisica dell'ultimo libro di Alberoni, non dava adito a equivoci: il tavolato di una presumibile cabina da mare con nuvoletta di fumetto in bianco, epperò segato via da un quadro di Magritte, doveva far supporre un leggero bluff. O un più deciso pluff! E così era per molti (e per davvero), almeno fino a quando le cifre delle vendite non hanno permesso, ai grandi re0 censori distratti, di ritornarci su: magari per parlare, più che del libro di un sociologo, del fenomeno sociologico della fortuna di un libro. Dev'essere stata una manna per l'autore, che, per nulla meravigliato da un suo ennesimo best-seller, dopo tutta una serie socio-rosa con tanto di sponsor e giochi da salotto per signore, aveva in fin dei conti raccolto (o come si dice, "curato") i pezzi di fondo pagina della sua fresca attività di corsivista di lusso del "Corriere", forse al solo scopo di non restare troppo a lungo assente dal mercato. (I sociologi le pensano di sicuro, queste cose.) Trattandosi di cosette un po' slegate, e che infine parlavano del più e del meno, occorreva un titolo altrettanto generico, ma dentro i limiti di una dichiarata commerciabilità; e quello della rubrica tenuta ogni lunedì dall'autore era perfetto: Pubblico & Privato. E il piccolo "pastiche" fu promosso a vero pasticcio. · Un piccolo privato Un libro fatto di ritagli di giornale è ingiusto. In primo luogo, sicuramente, verso l'autore. Per la verità sono frequenti le antologie di recensioni di cinema o di teatro: anche lì l'autore è sempre lo stesso e il mestiere è sempre sbrigativo, anche se il genere e la pagina richiedono uno sforzo speciale. Ma lo spettacolo o il film ogni volta cambiano, e costringono al confronto con idee e immagini di altri diversi autori, e spesso di una certa qualità. Inoltre l'utilità è indiscutibile: ai collezionisti e specialisti si è aggiunta la schiera dei funzionari e operatori culturali e si sa quanto servono le recensioni per un programma di giovane teatro, le critiche d'annata per un modesto cineclub! Negli altri casi, ritagliarsi il proprio libro da un giornale, equivale a proporsi all'osservazione del modo deformato e ossessivo di un film, che ripete, uno dietro l'altro, dei gesti o degli impegni che si sono consumati isolatamente, e per di più collocati nel ritmo e nel perdono della velocità quotidiana. Vengono così a galla e in mostra i tic impercettibili, le trascurabili mancanze, le piccole fobie e i generici difetti: amplificati nella moltiplicazione di un libro, diventano imperdonabili. Nel montaggio di una loro incessante ripetizione, si producono-essi stessi come argomenti principali. Ed è questa la involontaria offerta di un interessante contenuto: l'autore e le sue idee si trovano esposte in bella evidenza, al posto dell'oggetto, del pretesto, dell'occasione su cui si misuravano, e dietro i quali non possono più nascondersi. Si indovina qualcosa di davvero "privato" nel lavoro più pubblico (da essere pubblicato) di un uomo pubblico.

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