SAGGI/BERTINETII l'appunto non c'è posto per i valori umani, schiacciati dalla logica militare delle grandi potenze. È la debolezza e la degenerazione della democrazia di adesso, come impareranno i sopravvissuti, che rende possibile la distruzione dell'umanità. La trilogia è piena di momenti fortemente allegorici, carica di simbolismi; e qualche osservatore maligno potrebbe citare Mad Max a proposito di certe scene del dopoolocausto. In realtà l'invenzione teatrale di Bond, oltre che per la forza della denuncia, è interessante soprattutto per il fatto di affidare tutto (o quasi) alla parola, una parola di grande teatralità e capacità evocativa che sembra quasi volersi misurare con quella degli elisabettiani. Nelle scene degli inizi del conflitto il linguaggio è quello quotidiano, colloquiale, idiomatico, a suggerire l'immediata vicinanza con l'oggi di quel possibile futuro che dovremmo impedire. Ma nel mondo dei sopravvissuti il linguaggio, anche se popolare nell'espressione, assume un tono elevato perché appartiene a un tempo che non è il nostro e perché appartiene a un'esperienza che non è la nostra, che non conosciamo e che speriamo di non dover conoscere mai. Non è intervenuto su questo tema David Hare (anc.h'egli fondatore, come Brenton, dei primi gruppi alternativi, anch'egli drammaturgo già affermato negli anni Settanta, noto anche in Italia per il film di Schepisi tratto da una sua mediocre commedia, Plenty e per il suo film Wetherby), un autore che ha sempre preferito costruire le vicende dei suoi drammi intorno alla critica delle grandi istituzioni britanniche. Il suo testo piu interessante di questi anni è A Map of the World (1983), che tuttavia lascia l'Inghilterra avendo questa volta come bersaglio istituzionale l'UNESCO e come tema di fondo il rapporto tra i paesi dell'Occidente ed il Terzo mondo. La scena è quella di un lussuoso hotel di Bombay, in occasione di un congresso sulla povertà e la fame nel mondo. Ci sono i delegati dei vari paesi con i loro discorsi politici, c'è un giornalista inglese progressista, c'è un romanziere indiano conservatore e c'è un'attrice americana contesa dai due. Ma poi scopriamo che è tutto finto, siamo su un set e si sta girando un film tratto dal romanzo dello scrittore indiano. Questo consente ad Hare da un lato di allargare i suoi bersagli tematici (le miserie del cinema commerciale e il rapporto tra letteratura e cinema) e dall'altro di far passare certe tirate troppo ideologiche come momenti del film (per cui dopo, a scena "girata", fa dire che sono troppo noiose e che vanno tagliate). Il gioco della finzione nella finzione, della realtà filmica e della realtà teatrale, è condotto con grande maestria; il passaggio dall'una all'altra avviene a volte in modo sfumato, a volte improvviso, a volte attraverso il procedere contemporaneo delle due realtà, in un continuo rimando di grande intelligenza teatrale. Il titolo viene da una frase di Wilde per cui una carta geografica del mondo dove non c'è il paese di Utopia non è degna della nostra attenzione: lo svolgimento dello scontro personale e ideologico tra i due protagonisti (in cui l'indiano dice, da destra, cose sensatissime) liotecaGino Bianco sembrerebbe non aver nulla a che fare con il titolo. Ma alla fine il romanziere dice che suo figlio, sedicenne, vuole cambiare il mondo. "È la cosa migliore che ci si possa fare, con il mondo", commenta la giovane attrice. E lui, cosi scettico, cosi disincantato, cosi conservatore, si dichiara d'accordo: "se perdiamo la sensazione di poter cambiare le cose, perdiamo tutto". Il lavoro piu interessante di Hare, tuttavia, è stato quello di regista e co-autore insieme a Brenton di Pravda ( 1985), una formidabile commedia grottesca sul mondo giornalistico inglese. La storia è quella di una concentrazione di testate nelle mani di un boss reazionario, non diversamente da quanto è avvenuto nella realtà, con la differenza che qui si immagina che il magnate sia un sudafricano, Lambert Le Roux, anziché un australiano. L'establishment è sbeffeggiato con allegra ferocia, mettendone a nudo tutta l'ipocrisia e la meschina alterigia. Vecchi e giovani gentiluomini, anziane dame, severissimi vescovi, tutti fieri della loro britannicità, delle loro tradizioni, dei secolari valori di cui si sentono portatori, mettono rapidamente a tacere la "differenza" di cui si vantano per potersi vendere spudoratamente. Le garanzie morali sono poche e fasulle, ma le sterline sono tante: pecunia non o/et. l politici conservatori sono ancora piu rapidi nel1'accettare l'offerta: in çompenso sono ancora piu succubi di Le Roux, dato il potere della stampa. E i giornalisti? Dei pennivendoli, dai direttori all'ultimo cronista. La differenza tra il vecchio e obbiettivo giornalismo inglese e quello nuovo e spregiudicato di Le Roux è che il primo era al servizio del potere in modo sornione (la filosofia del "da un lato ... dall'altro") mentre il secondo vuole essere strumento diretto del proprio potere in modo svaccato ("far giornali seri costa fatica, è piu facile farli brutti"). Questo Citi zen Kane aggiornato, in cui si salva soltanto il personaggio di Rebecca, che però viene amaramente sconfitta, è un atto d'accusa senza attenuanti contro una borghesia incapace e supponente, che si addobba con i miti di un passato ormai scomparso per nascondere la propria inettitudine imprenditoriale e la propria miseria morale. Ma Pravda è anche un atto di fiducia nel teatro, nelle sue capacità espressive, nel suo saper cogliere la realtà inchiodando lo spettatore con la sua magia. La commedia ha un ritmo formidabile, travolgente, piena di momenti esilaranti e di soluzioni inattese. Le scene si susseguono senza soluzione di continuità, passando dagli esterni agli interni, e da un interno all'altro, con una fluidità che si penserebbe possibile soltanto sullo schermo e che qui viene realizzata con perfetta semplicità, con dei cambi a vista sfumati dall'irrompere in scena degli strilloni che urlano i titoli dei giornali. La commedia di Brenton e Hare è la piu bella di questi anni Ottanta. Ma nel nostro zigzagare tra autori e filoni tematici abbiamo lasciato fuori qualche testo che merita di essere ricordato. Other Worlds ( 1983) di Robert Holman, uno sconvolgente apologo sulla divisione tra gli oppressi, am-
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