Linea d'ombra - anno V - n. 22 - dicembre 1987

BibliotecaGino Bianco ILTEATROINGLESE DEGLIANNI OTTANTA Paolo Bertinetti Per prima cosa bisogna ricordare che in Gran Bretagna il teatro è una cosa viva, il mezzo di comunicazione a cui "naturalmente" si rivolgono autori, attori, registi e teatranti di ogni ordine e grado con piena fiducia nelle sue capacità di espressione e di riflessione sulla realtà. Una fiducia totalmente giustificata dalla storia teatrale degli ultimi trent'anni che, in misura impensabile non solo nel nostro paese ma anche in altri di ben piu solide tradizioni, ha visto il teatro al centro della vita culturale inglese: la difficile ricerca di una nuova identità internazionale, le speranze e le delusioni per i grandi e piccoli progetti di trasformazione sociale, la questione irlandese, i mutamenti sociologici piu laceranti, la difficile convivenza (e spesso il razzismo) rispetto ai "cittadini britannici" del Terzo Mondo, l'emarginazione giovanile, la disoccupazione crescente, tutti i fenomeni piu rilevanti che hanno attraversato e trasformato la società inglese del dopoguerra, hanno trovato nel teatro la sede privilegiata di discussione e di confronto, il luogo da cui partire - questo è il dato piu significativo - per portar fuori, nelle altre possibili sedi di riflessione, i giornali, la TV, i libri, le riviste, le organizzazioni politiche e, perché no?, nei bar e nei salotti, la discussione su quanto stava avvenendo nel paese. L'altro elemento basilare - e forse ancora piu eccezionale - del teatro inglese contemporaneo è che esso (pur vantando una formidabile scuola di attori e un repertorio classico di inesauribile ricchezza su cui lavorare e con cui parlare - anche - del presente) è fondamentalmente un teatro di autori. A partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta i drammaturghi e i testi, con la contraddittoria eccezione a cui accenneremo piu avanti, sono sempre stati il principale punto di forza, il fattore innovativo e vitale del teatro inglese. Le vicende della scorsa stagione teatrale sembrerebbero smentire queste affermazioni. I maggiori successi sono stati il musical tratto da I miserabili, La casa di Bernarda Alba di Lorca (con un ottimo cast capeggiato da Joan Plowright e una non del tutto convincente Glenda Jackson) e l'adattamento delle Liaisons dangereuses, con un bravissimo Alan Rickman, a opera di Christopher Hampton (che comunque è un abile drammaturgo, di cui, a parte alcune astute cose giovanili, val la pena ricordare il recente Tales /rom Hollywood). Niente a che fare, quindi, con la realtà inglese contemporanea e con la fertilità dei suoi autori teatrali. Può anche darsi che il 1987, con il suo terzo governo Thatcher, segni la fine di un lungo periodo di straordinaria creatività; ma è invece piu probabile che si tratti semplicemente di cercare altrove i segni della continuità con una tradizione drammaturgica ormai trentennale. All'inizio c'erano Osborne, Wesker, Arden e Pinter, oltre ad almeno una ventina di altri giovani drammaturghi che dissero tutto e subito, in una sola volta o quasi (Ann Jellicoe di The Knack, Shelagh Delaney di Sapore di miele, Brendan Behan di L'impiccato di domani e L'ostaggio), formando però nel loro insieme una produzione di tali dimensioni e di tale intensità tematica da far indicare nel teatro, senza ombra di dubbio, la forma espressiva di un'intera generazione. In 65

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