gono alcune variabili a determinare la direttrice di percorso. Il lavoro, innanzitutto, e le sue condizioni. Attualmente, in Italia, gli ambiti di collocamento degli immigrati, nella più parte, risultano quelli del lavoro domestico (per le donne soprattutto) e quelli confinati nelle mille forme del lavoro irregolare e "nero", o regolare ma rifiutato dagli indigeni, sia nell'industria che nel basso terziario. Lavoro intellettuale, spesso non meno precario e "nero", ne svolge in particolare l'immigrazione di tipo politico (ma non solo, perché il tasso di scolarizzazione è piuttosto elevato, nella media degli immigrati, contrariamente a quanto si potrebbe pensare), mentre le attività commerciali più solide e remunerative riguardano minoranze o comunità più ampie e da maggior tempo radicatesi (attive spesso nel campo dell'artigianato "tradizionale" o, come i cinesi, della ristorazione tipica). La gran massa degli immigrati, è tutt'altro che inserita in un sistema di garanzie e di procedure tale da favorirne un approccio in qualche modo controllato, agevolato. La stessa legge di tutela e di sanatoria delle condizioni dei lavoratori stranieri in Italia, approvata nel gennaio scorso, tende soprattutto a imporre un censimento e una riconoscibilità legale degli immigrati e, nella sua limitazione temporale (prorogata di tre mesi in tre mesi fino a questo ottobre), a scoraggiare e frenare nuovi flussi. La legge registra e riproduce un atteggiamento diffuso ormai in molti paesi dell'Occidente, premuti, o addirittura sedicenti "assediati" dalle ondate in arrivo dai paesi poveri. In ogni paese occidentale, ormai, si è stratificata una sorta di società parallela, composita, con pochi o nessuno dei diritti riconosciuti ai cittadini legittimi. Si assiste così al formarsi, ad esempio, di un mercato del lavoro clandestino, incontrollato, o di una categoria di persone giuridicamente prive di garanzie, "inferiori". È in questa situazione che svaniscono non solo i sogni del BibliotecaGino Bianco DISCUSSIONE Salvadoregni a Milano (foto di L. Golderer e V. Scifo) Brujo, ma anche le più concrete e irrinunciabili aspirazioni materiali, professionali, culturali. Respingendo le tentazioni di chiusura, come pure le velleità di fare dell'Italia un grande paese d'immigrazione, il convegno si è espresso in favore di uno sforzo complesso d'apertura. "Dobbiamo cominciare a misurarci con i problemi della società multi-etnica, multi-razziale e multi-culturale in formazione, assumendo tutte le necessarie misure per quanto concerne sia la promozione dell'integrazione sociale degli immigrati, sia la salvaguardia e la promozione della loro identità culturale. In proposito bisogna essere pienamente consapevoli che la formazione di una società multi-etnica, multi-razziale e multi-culturale (che pure sola può dare una positiva risposta alle tendenze in atto) non è di per sé una soluzione. Basti dire che anche il Sud Africa è una società multi-etnica, multi-razziale e multi-culturale. Il processo va quindi orientato e guidato, con sensibilità e lungimiranza" (Melotti). Il punto interrogativo principale, però, riguarda proprio questa sensibilità lungimirante. In che misura essa è ancora possibile nell'Occidente che vive consumando 1'80% delle riserve globali del pianeta (pur senza essersi ancora liberato delle proprie ingiustizie interne) e lascia il residuo 20% del prodotto mondiale al 78% della popolazione complessiva? In che misura è possibile, resistendo alle tendenze xenofobe, motivate da ragioni, per così dire, protezionistiche sul mercato del lavoro o da altre, più profonde e conturbanti, di natura psicologica e culturale? La nuova immigrazione, con le 5
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