Linea d'ombra - anno V - n. 22 - dicembre 1987

RITRATTODIDECHIRICO Camilla Cederna Dalle bozze del mio ultimo libro, Il meglio di (Mondadori), che contiene una parte dei miei scritti dal 1947 al 1982, ho dovuto con mio gran dolore togliere ben 250 pagine, onde evitare che la dimensione del volume diventasse abnorme, e così il prezzo. L'articolo che qui si ristampa del 1962, è uno dei pezzi sacrificati, che con gran piacere do a "Linea d'Ombra", grata che abbia l'occasione di unaristampa. (e.e.) È la prima volta che, andando a fare una visita, il padrone di casa mi viene incontro in costume, ed è un costume dell'Ottocento, che gli ha prestato il Teatro dell'Opera, verde con bottoni di argento, polsi e colletto di seta bianca. Mentre la padrona di casa è completamente nuda e, seduta sul velluto rosso, ha unico capo di vestiario un filo di perle al collo. Né ho mai visto gente capace di cambiarsi così in fretta. Non faccio in tempo infatti ad ammirare la gran giacca verde che lui è già bell'e dentro un altro costume secentesco, scarlatto, 'e in testa ha un cappellone di feltro guarnito di piume nere. Il tempo di andare avanti di qualche metro, e sfoggia un tardo Cinquecento rosso e grigio con cordoni d'oro. La moglie a sua volta si riveste rapidamente, per mostrarsi in pelliccia e berretto di pantera (e via le perle dal collo per mettersi gli orecchini ed infilarsi un guanto). Subito dopo è una dama del Settecento, ma ora che arrivo in sala da pranzo, è di nuovo nuda, e il suo è uno sguardo decisamente di sfida, sotto i capelli biondi e ricciolini. Chiaro che sto percorrendo quello straordinario e quasi allucinante museo che è casa de Chirico, dalle cui pareti insieme a grasse nature morte, cavalli impennati sulla spiaggia, mazzi di tulipani, regate veneziane in costume, lotte di centauri e "bagni misteriosi" (uomini e donne che si immergono o nuotano in ruscelli che son strisce di assai lustro e ben disegnato parquet), sopra piccoli e gonfi trumeaux, divani o poltrone, tanto in anticamera che nella sala-corridoio, in salotto, in sala da pranzo, pendono anche Giorgio e Isabella in vesti appunto di cavaliere antico, di Puritano o pascià l'uno, e l'altra di Andromeda o Angelica in attesa di liberazione, di bagnante,- di pattinatrice o di bella sdegnosa di molti secoli fa. Finché, lasciatomi il tempo di ammirarlo dipinto a olio in cornice d'oro, entra in salotto Giorgio de Chirico al naturale e invece di sembrarmi un nobile tapiro come credevo una volta, ha l'aspetto di un immenso pesce in piedi, e precisamente, specie se si mette di profilo, d'un bellissimo cefalo , bianco e argento. "Lei va a trovare un gran cadavere", mi ; aveva detto poco prima un suo buon conosciente. "Non è · un uomo intelligente quello che sta per incontrare, ma un genio. Un genio morto però, morto nel '30". E dopo, aveva ammesso volentieri che quel defunto era ancora capace, a sprazzi, di straordinarie illuminazioni. Per la verità non mi era mai capitato invece di incontrare qualcuno di così vivo in un pomeriggio tanto rovente. A 74 : anni e in luglio, il mio cefalo è ancora freschissimo. "Dal caldo io mi difendo muovendomi il meno possibile", mi dice ibliotecaGino Bianco mettendosi a sedere in poltrona, e intanto sul ventre gli sobbalzano i tre ciondolini d'oro (un cornetto, una ghianda e un elefantino) che gli pendono da una bella e antica catena d'orologio. L'estate è la stagione che fin da ragazzo egli detesta, per le seccature che implica, e sono la villeggiatura obbligatoria, quella specie di sgombero che bisogna fare per andarci, fatiche su fatiche per non riposare un bel niente. Lui che per natura e costituzione fra le stagioni preferisce l'autunno e l'inverno, d'estate starebbe sempre in città, cioè in casa, con le persiane chiuse uscendo soltanto al tramonto per un breve passeggino. "In campagna ci si riposa pochissimo", egli aggiunge. "C'è sempre qualche rumore molesto, un cane che abbaia, un gallo che canta, e si vedono sempre spettacoli spiacevoli, bambini piangenti, animali trattati male. I posti ideali per riposarsi," continua de Chirico," ·sono certe camere interne d'alcuni alberghi di città, munite di doppie porte e di tende pesanti, dove davvero non filtra alcun rumore: per esempio all'albergo Continentale di Milano ce ne sono ancora dicosì. Io sono un sibarita", dichiara quindi con estrema grazia, "sarei per l'assenza completa di noie". Il "pictor optimus", parlando, fa sfoggio d'un garbo addirittura démodé, non s'increspa mai (anzi pare nasconda un sorriso) quando attacca la pittura contemporanea e i critici che la sostengono; pare sia lui a divertirsi per il primo quando si mette ad ammirare e a lodare se stesso e le sue creazioni; si fa solo un pochino più grave quando parla della sua zoofilia, che gli viene in mente nel momento in cui accenno alla Biennale. Lo ha divertito il gesto di quel pittore che all'inaugurazione ha gettato tre topi fra i piedi del presidente Segni. "So che ne fu ammazzato uno e spero che gli altri siano scappati", enuncia, "io quando posso salvare un topo lo salvo". Affermazione che esige una domanda, ma quando gliene capita l'occasione? "Quando fui ospite di amici che a Firenze avevano una villa vicina ali' Arno in un periodo in cui grossi topi venivan su dal fiume a rosicchiare nelle dispense e a spaventare la servitù. Avevano messo trappole dappertutto e dopo un po' seppi che riuscivano a prenderne parecchi. Mi alzavo allora di notte, fra le due e le tre, mentre tutti dormivano, per impadronirmi, silenzioso come un ladro, delle trappole piene. Le portavo in riva ali' Arno, lì le aprivo e liberavo i topi. Fu in quell'occasione che ebbi modo di studiare la strana psicologia di questi animali. Aprivo lo sportellino e loro non uscivano, così dovevo picchiare sul legno, gridare, insultarli per farli correre via. Ma non correvano via, facevano cinque o sei metri e si fermavano lì a guardarmi, chi sa perché, chi sa cosa temevano ancora, certo non avevano capito che animo sensibile è il mio". Se i topi vengono aiutati da lui a vivere e a moltiplicarsi, i cani li ama e li considera suoi pari. C'è un amico che ricorda dei veri e propri sacrifici che de Chirico e sua moglie fecero a Parigi per un bel danese di proporzioni eccezionali. Ecco che l'amico andava a cena da loro, e poi tutti e tre decidevano di finire la serata al cinema, ma dovevano fare in modo 61

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