DISCUSSIONE LONTANO, MA DOVE'? Gianfranco Bettin Elafrhani Amine, marocchino, è un sociologo, ma il suo intervento al convegno Lontano da dove. La nuova immigrazione e le sue culture (Milano, 6-7 novembre '87), aveva quasi un tono romanzesco. Puntuale nel riferire precisi dati oggettivi e, come si dice, strutturali, acquistava forza e suggestione di racconto esponendo un'esperienza (personale e collettiva) che in realtà si compie in un duplice viaggio. Il viaggio - per molti una vera odissea - attraverso le geografie del mondo (politiche, economiche, sociali e culturali) e il viaggio dentro un mito e un sogno. Amine descriveva le radici delle nuove immigrazioni, la povertà, la fame o l'oppressione da cui fuggono, mc}anche l'illusione che viene proiettata sulla meta di quella fuga, l'Occidente. È un Occidente sempre più televisto, cioè sognato da lontano, ma anche immerso in sequenze multimediali che ne riproducono splendori e abbagli per ogni contrada del "villaggio globale". E con queste immagini negli occhi, con questi miti e sogni, che fiumi di persone lasciano ogni anno, ogni giorno, i propri luoghi d'origine e si dirigono lontano, verso i paesi ricchi (ricchi proprio perché essi sono poveri, cioè spogliati di risorse, risucchiate dal Nord del mondo dove infine le incontreranno di nuovo, sotto forma di beni di consumo, di merci, di sprechi inimmaginabili). Nessuno sa quanti siano, non solo in tutto il mondo - dove costituiscono quasi un "sesto continente", mobile, alla deriva - ma neppure su scala più ridotta. Non si sa, per esempio, con precisione nemmeno quanti immigrati stranieri vi siano in Italia. Nella relazione introduttiva al convegno milanese (promosso dall'Amministrazione Provinciale), Umberto Melotti considera attendibile la stima del Ministero degli Interni di 1.200.000 immigrati tra regolari e clandestini. Melotti individua dieci principali tipi d'immigrazione, che differiscono per varie caratteristiche: soggetti (sesso, età, grado di scolarità, ecc.), motivazioni (economiche, politiche, culturali, ecc.), progetti migratori (a breve, medio, lungo termine), settore d'inserimento professionale, condizione giuridica formale (regolare o irregolare), problemi, aspettative, speranze. L'immigrazione più numerosa, è quella degli arabi del Nord Africa, iniziata nei primi anni '70 (ma la comunità straniera più antica in Italia, ormai "incapsulata" è quella cinese). L'immigrazione araba è prevalentemente di giovani maschi, celibi, o comunque soli, con motivazioni soprattutto economiche, spesso stagionali e irregolari. I più organizzati sono i marocchini, mentre i più numerosi sono gli egiziani. Dalle Filippine provengono soprattutto donne, invece, giovani e nubili, da sole comunque, che arrivano con un progetto di rientro a breve o media scadenza ma che spesso devono prolungare il periodo di soggiorno. Femminile è anche, in prevalenza, l'immigrazione dalle isole africane di cultura creola (Capo Verde, Mauritius, Seychelles) e da alcuni Stati dell'India Occidentale (Goa, Kerala). Estrema la situa- ' biiotecaGino Bianco zione di Capo Verde, regione poverissima, con più cittadini all'estero (450.000) che in patria (300.000). Da Ceylon, oltre ai singalesi giunti in Italia con motivazioni economiche, provengono gli appartenenti alla minoranza etnica di religione induista, i tamil, fuggiti da Sri Lanka dopo le stragi dell'83, per ragioni politiche. Rifugiati politici, di fatto, sono anche gli eritrei, ormai una comunità numerosa e politicamente organizzata, culturalmente viva e attiva. Spiccate caratteristiche di "rifugio politico" distinguono l'immigrazione che proviene dai Paesi del "cono sud" del!' America meridionale: Brasile, Uruguay, Argentina e Cile, come pure, dal Centro America, Salvador. In costante aumento, negli ultimi anni, gli immigrati dal!' Africa a sud del Sahara (la cosiddetta" Africa nera"): è la più disgregata, composta da giovani maschi soprattutto, spesso allo sbando da una città all'altra, senza precisi progetti, che vivono alla giornata. È in questa vicenda, nota Melotti, che "l'odissea dell'emarginazione celebra i suoi fasti". L'immigrazione di tipo commerciale, infine, di operatori del terziario, impegnati in transazioni import/export con i Paesi d'origine, è la più benestante e solida. Queste dunque le provenienze, che disegnano una mappa della fuga ramificata in ogni angolo del pianeta. In effetti, non sembra esistere zona libera da "ragioni di fuga", siano esse dettate dalla povertà o dall'oppressione o dall'assenza di prospettive gratificanti. Certo l'Occidente si pone insieme come miraggio e come ricovero, approdo di un viaggio al quale non si può o non si riesce a rinunciare e per affrontare il quale si è disposti a correre molti rischi (compreso quello del "salto nel buio"). In un articolo, uscito l'estate scorsa su "Repubblica", Lucia Annunziata ha ricostruito la vicenda dei diciotto immigrati illegali morti soffocati in un treno nel tentativo di passare dal Messico agli Stati Uniti. Il "sogno del brujo" (il "mago", soprannome di uno di essi, in questo caso), nasceva nel torpore e nello squallore povero di un villaggio. "Qui il tempo è così noioso che uno non si accorge se dorme o se è sveglio", diceva un ragazzo amico del Brujo avvicinato da Lucia Annunziata nella sua inchiesta. La radice, qui, non penetrava tanto in un sostrato di miseria o di oppressione, quanto in un desiderio di nuovi percorsi, in una inquietudine che vive nelle nuove generazioni del Terzo Mondo e che distingue l'attuale dalla vecchia emigrazione. Anche per questo, l'impatto con la realtà tende oggi a prodursi in modalità più complesse di un tempo. La delusione rischia spesso di risultare più profonda, più angosciante - sia materialmente che sul piano esistenziale e culturale. Ma le potenzialità del rapporto tra questa immigrazione e le società riceventi ne risultano ampliate. In sostanza, esse paiono disporsi lungo tre direttrici: l'integrazione nel nuovo mondo (in un punto della sua scala sociale); la permanenza ivi, più o meno provvisoria e comunque finalizzata a un ritorno nel paese d'origine; la permanenza anche prolungata (o addirittura definitiva) ma conservando le proprie radici e le proprie culture. Ovviamente, specialmente laddove l'emigrazione è di tipo prevalentemente obbligato, interven-
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