Linea d'ombra - anno V - n. 22 - dicembre 1987

STORIE/GALLAGNER cerca di essere un po' più normale", l'ho scongiurato. "Cerca di capire che al mondo c'è anche gente che ha un sacco da fare, che al mondo ... " Non mi ha neanche lasciato finire la frase che si è messo a urlarmi nell'orecchio: "Ma io non sono normale! Io sono Jerome e non sono normale. Non sarò mai normale, io!'' Mi sono allontanata la cornetta dall'orecchio ma mi sono sentita investita lo stesso dal flusso ribollente delle sue parole. Aveva ragione e per quanti sforzi facessi per calmarlo e rassicurarlo, non sarei mai riuscita a nascondere quella verità ... e in effetti era proprio per quella verità che gli volevo bene. "Ti vuoi sbrigare con quel telefono?" ha gridato mio marito dalla camera oscura. Certe volte, quando parlo con Jerome per telefono, lui esce fuori e accende la radio a tutto volume. Stavolta si è contentato di aprire i rubinetti e di sbattere un po' le cose nel suo lavandino. Mentre continuavo a lavorare la pasta della crostata e ad ascoltare la voce disperata di Jerome, mi è venuto in mente che erano quindici anni che lo conoscevo. Quando ci eravamo incontrati una sera mi aveva portato in un magazzino abbandonato per mostrarmi la sua ultima creazione. Aveva premuto un'interruttore e aveva acceso una fila di lampadine appese al centro di un soffitto altissimo. Miracolosamente sospese a mezz'aria, vidi dozzine di piume galleggiare come se fossero attaccate all'aria stessa. Quando mi avvicinai mi resi conto che in realtà erano legate a dei sottilissimi fili di nylon fissati al soffitto. Al centro di ogni mazzetto di piume c'era una pallina di metallo. "Calamite", disse Jerome con orgoglio. "Ora sta a guardare". Mise in moto un ventilatore e tutte le piume cominciarono a svolazzare verso un punto preciso, mantenendo la rotta come se una forza invisibile stesse sincronizzando i loro movimenti. "Sono tutte orientate verso il Nord magnetico", mi spiegò Jerome. Spostò il ventilatore in varie posizioni nella stanza ma le piume finivano inevitabilmente per stabilizzarsi verso la stessa direzione - il Nord magnetico. Compresi allora che Jerome, proprio come le piume che restavano in formazione in quel magazzino altrimenti vuoto, marciava seguendo ordini che venivano da un qualche Nord magnetico, o comunque un qualcosa altrettanto lontano e in una posizione altrettanto cruciale. Ma fu solo dopo aver controllato su un'enciclopedia che compresi quanto veramente questa espressione si adattasse al mio amico - capii che il Nord magnetico è in realtà quasi impossibile da determinare se un altro campo magnetico interferisce avvicinandosi all'ago della bussola. Esattamente come succedeva a Jerome - un uomo che perdeva facilmente la rotta, uno che il minimo soffio di vento bastava a far roteare su se stesso e a farlo precipitare in picchiata a terra. "Senti, piantala di litigare con te stesso e ascoltami bene", ho detto con voce severa nel microfono. "Ammettiamo pure che Catlin ti stia veramente trattando male. Ammets2iDIiotecaGino Bianco tiamo che voglia tenerti sulla corda e sulle spine come tu sospetti, che voglia farti saltare i nervi, umiliarti, che voglia che sia tu a ridurti a chiamare lui". "Va bene", ha mormorato lui, contento che mi fossi finalmente decisa a dargli retta. "Dico ammettiamo. Ammettiamo che sia tutto come dici tu. Secondo te, io che dovrei fare?" A questo punto Jerome è rimasto un attimo in silenzio, come se l'ultima cosa che gli passasse per la testa fosse chiedermi di fare qualcosa. Alla fine ha detto: "Cerca almeno di dirmi che non lo sta facendo apposta. Dimmi che forse gli è successo qualcosa, che gli è morto il cane o gli sono caduti i denti: qualsiasi cosa, basta che non mi fai credere che mi sta trattando così di proposito". Qualcuno si è messo a bussare di nuovo alla porta. Ho sentito mio marito che bestemmiava e si agitava sbatacchiando le sue cose nel ristretto spazio della camera oscura, senza però azzardarsi a venirne fuori. Avevo paura di posare il ricevitore e andare a vedere che succedeva, per via di Jerome. La porta allora si è aperta e sono entrati due uomini in tuta: uno portava un piccolo pino e l'altro un mazzo di gladioli e un vaso di crisantemi color lavanda. Un nastro di seta bianca pendeva dai crisantemie sul braccio dell'uomo. C'era scritto, in lettered'oro, ALL'ADORATA MAMMA. Gli uomini hanno posato i fiori e l'alberello vicino ai gigli e si sono voltati.per andarsene, ma giunto alla porta uno dei due s'è fermato un attimo e si è alzato rapidamente la visiera del berretto. Non erano riusciti neanche a chiudere la porta che una signora robusta ha fatto timidamente il suo ingressonel soggiorno. Appena si è resa conto che stavo al telefono, si è messa un dito sulle labbra ed è venuta in cucina in punta di piedi. In mano portava del cibo in una casseruola. "Devi essere la figlia di Treena", ha detto, baciandomi rapidamente sullaguancia. Ha posato la casseruolasul piano della cucina, mi ha battuto una mano sulla spalla ed è scoppiata in singhiozzisoffocati. "Non posso fermarmi. Harold mi sta aspettando in macchina. Dio ti benedica", ha detto, asciugandosi gli occhi con la manica. Quindi è tornata sui suoi passi in direzione della porta. "Ma, ci deve essere uno sbaglio", ho detto io. "lo non ne posso più di sbagli", ha risposto Jerome. "Nessuno più prende la vita sul serio. E guarda tutto il male che si fa in questo modo. Scusami-scusami! Sempre la stessa litania, dalla mattina alla sera". "Sono capitata in mezzo al funerale di qualcuno", ho gridato io. "Non scherzare con me", ha detto Jerome. "Non ti ci mettere pure tu a prendermi in giro". "Ma io non ti sto prendendo in giro. Io ti sono amica. Non so bene perché, ma ti sono amica", ho protestato ·io. "Bell'amica!", dalla camera oscura è arrivata l'esclamazione soffocata di mio marito. L'odore dolce dei fiori aveva già cominciato a riempire il soggiorno. Ora stava insinuandosi anche in cucina dove io mi

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