Linea d'ombra - anno V - n. 22 - dicembre 1987

LA LEBBROSA Tess Ga/lagher Q uando un posto è troppo bello, si può star sicuri che prima o poi ci saranno delle ripercussioni. I posti così attraggono interferenze, invasioni, inquinamenti negativi di suoni o di azioni. Cose di ogni giorno che in una squallida periferia, o anche in un ordinario quartiere residenziale, passerebbero inosservate, agiscono qui con una forza particolare. Insomma, vivere dove vivo adesso comporta un certo impegno. Sotto la casa c'è la spiaggia. La baia risplende di acqua e di luce e ogni tanto si sente l'assorto grido dei gabbiani. Ma in questo momento tutta l'atmosfera è rovinata dal rumore dei martelli che picchiano contro il legno. È il mio vicino che sta facendo riparare le scale della sua veranda. Il rumore dovrebbe rimanere ancorato a questo fatto,. ma in questa oasi di relativa pace la mia mente sembra non aspettare altro pretesto per gettarsi all'inseguimento di ben più macabre congetture: una dopo l'altra si affacciano le immagini della costruzione di una ghigliottina o di una croce a misura d'uomo o, addirittura, di qualcuno che stia, tavola dopo tavola, mettendo insieme una bara appena fuori della mia finestra. Invece si tratta solo di riparazioni domestiche eseguite dai carpentieri che lavorano dal mio vicino. Nonostante tutto, però, devo dire che l'isolamento e la tranquillità di cui godo non hanno paragoni. Posso comodamente sistemarmi su una bella sedia riscaldata dal sole, allungare le gambe sulla ringhiera e sognare. Ma in quell'attimo c'è sempre qualcuno che potrebbe bussare alla porta - per esempio, lo stesso vicino che sta aggiustando le scale: viene ad avvertirmi che le formiche nere hano fatto il nido sotto casa nostra e minacciano di portarsi via l'intera collina. Non è detto però che tutte le interferenze con la bellezza di questo posto debbano essere per forza spiacevoli. Ce ne sono anche di quelle che rientrano in una categoria che si potrebbe definire "spettacolare". La nostra domina altre graziose villette in questo tranquillo quartiere residenziale alla periferia di una piccola cittadina portuale. Un mattino, non tanto tempo fa, guardando giù abbiamo visto una donna nuda pedalare verso i campi da tennis. Pioveva. Non tanto forte ma abbastanza da far sì che quelli che di solito facevano una passeggiata mattutina se ne rimanessero a casa. Presi il binocolo e mi misi a osservarla proprio mentre faceva il suo ingresso nel campo da tennis riservato e recintato di un nostro vicino. Si mise agirare in tondo sul campo, pedalando tranquilla in cerchi ampi e opulenti. "Ma che si è messa in testa di fare?" si chiese mio marito, asciungadosi le mani sul grembiule che metteva sempre quando lavorava in camera oscura. Aveva già stampato le ultime fotografie che aveva scattato sulle montagne della nostra zona. "Le deve mancare qualche rotella," disse, allungando la mano per prendere il binocolo. "Toh! Roba dell'altro mondo!" esclamò, restituendomi il binocolo. Me lo riaccostai agli occhi e vidi che la donna aveva una specie d~ffiìièsfets~(:;I rl() s~\anc8LIACCHI! diceva la scritta, che mi pareva fatta col rossetto. "Probabilmente sa benissimo che qui intorno ormai tutti hanno puntato i loro binocoli su di lei", commentai, ripassando il binocolo a mio marito. "Non è neanche niente male", fece lui, premendosi le lenti sugli occhi. "Ma scommetto che il vecchio Rosenthal non sarà per niente contento: gli sta rovinando il fondo del campo". Invece nessuno uscì dalla casa e nessuno interferì con quella metodica profanazione del campo da tennis. La pioggia continuò a cadere. Facemmo colazione come al solito nell'apposito angolo della cucina e poi ci dedicammo ai nostri compiti quotidiani. Avevamo ormai imparato che era meglio non perdere troppo tempo con avvenimenti del genere. A volte gli attentati alla nostra tranquillità sono più persistenti e diventano una caratteristica permanente e sgradita delle nostre giornate, come quando uno dei nostri vicini, fregandosene di qualsiasi regola, costruì un piccolo campanile e ci installò un carillon. A mezzogiorno in punto ed alle sei di pomeriggio, il carillon suonava qualcosa che assomigliava alle note di Amazing Grace. Naturalmente, ci fu chi si lamentò. Come accade sempre nella nostra piccola comunità quando si tratta di apportare qualche ritocco alle regole, fu indetto un referendum. Ma chissà per quale ragione, le famiglie che acconsentirono a quella trovata furono in maggioranza e così il carillon divenne una costante delle nostre giornate passate nella bellissima baia accecata dal sole. Q uando all'esterno tutto sembra fin troppo tranquillo, io e mio marito ci sentiamo un po' a disagio perché è allora che ci sono più probabilità che una rottura venga dall'interno. Così avevamo notato, con una certa dose di falsa sicurezza, che durante gli ultimi giorni di continuo martellamento, non ci erano capitate altre contrarietà - non erano scoppiate liti tra di noi, nessun elettrodomestico si era guastato, non avevamo dovuto cercare oggetti smarriti. Il ronzio delle seghe e le martellate sembravano aver assolto le nostre giornate da una bellezza troppo aperta per venir rovinata o dall'esausta beàtitudine dei rifugi turistici, cosa questa che sembra attagliarsi di più alla zona in cui viviamo. Invece oggi, proprio quando stavamo per abbandonarci al relativo conforto di questa routine, è squillato il telefono. Era il mio amico Jerome, lo scultore. È un uomo che è sempre in bilico tra la paura e la disperazione, e la persona che meno si può permettere di.chiamarmi alle due del pomeriggio di un giorno feriale quando le tariffe telefoniche sono al massimo. "Jerome", gli ho detto, "questo ti costerà un occhio della testa". "Lo so ma non posso farci niente", ha risposto cupamente. "Sono su tutte le furie e non riesco a fermarmi. Catlin mi doveva chiamare due ore fa. Stanno per buttarmi fuori di casa. Devo assolutamente avere i soldi di quei pezzi che ha venduto. Perché non mi ha chiamato quando aveva pro-

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