Linea d'ombra - anno V - n. 22 - dicembre 1987

D.Q. Rubén Dario E ravamo di guarnigione vicino a Santiago di Cuba. Quella notte aveva piovuto, ma il caldo era ugualmente eccessivo. Aspettavamo una compagnia di rinforzi, venuta dalla Spagna, per lasciare quel luogo dove, senza combattere, pieni d'ira e di disperazione, morivamo di fame. La compagnia, secondo il messaggio ricevuto, doveva arrivare quella notte stessa. Siccome il caldo aumentava e il sonno non voleva darmi tregua, uscii a respirare fuori della tenda. Dopo la pioggia il cielo si era un poco schiarito e sul fondo buio brillavano alcune stelle. Diedi libero sfogo alla nube di tristi pensieri che mi affollavano la mente. Pensai alle tante cose amate che erano là, lontano, alla maledetta sorte che ci perseguitava, al fatto che forse Dio poteva dirigere altrove le sue redini e noi percorrere una nuova strada, in un rapido riscatto. Pensavo a tante cose ... Quanto tempo passò? So che poco a poco le stelle si fecero sempre più pallide, un vento che rinfrescò tutta la campagna prese a soffiare dal lato dell'aurora ed essa iniziò la sua comparsa, mentre una diana, che non so perché arrivava alle mie orecchie come piena di tristezza, sparse le sue note mattutine. Poco dopo venne annunciato che la compagnia si stava avvicinando. Non tardò ad arrivare, infatti, e al nuovo giorno i nostri saluti si mescolarono a quelli dei camerati. Prendemmo subito a parlare con i compagni. Ci portavano notizie dalla patria. Conoscevano le stragi delle ultime battaglie. Come noi, erano sconfortati, ma li bruciava il desiderio di combattere, di abbandonarsi a una furente vendetta, di danneggiare il più possibile il nemico. Erano tutti giovani e vivaci, tranne uno; tutti ci cercavano per conversare, tranne uno. Ci portavano vettovaglie che vennero spartite. All'ora del rancio ci mettemmo tutti a divorare la nostra scarsa razione, tranne uno. Aveva circa cinquant'anni, ma avrebbe anche potuto averne trecento. Il suo sguardo triste sembrava penetrare fin nel profondo della nostra anima e dirci cose di secoli. Le poche volte che gli veniva rivolta la parola quasi non rispondeva, sorrideva malinconicamente, si isolava, cercava il silenzio, guardava verso il fondo dell'orizzonte, dalla parte del mare. Era il portabandiera. Come si chiamava? Non sentii mai pronunciare il suo nome. Due giorni dopo il cappellano mi disse: - Suppongo che non ci daranno ancora l'ordine di partire. La gente non sta più nella pelle dalla voglia di combattere. Abbiamo dei malati. Quando, dunque, vedremo coprirsi di gloria la nostra povera e santa bandiera? A proposito, ha visto il portabandiera? Si fa in quattro per soccorrere gli ammalati. Non mangia, quel che ha lo dà agli altri. Ho parlato con lui. È un uomo strano e prodigioso. Sembra coraggioso e di nobilissimo cuore. Mi ha parlato di sogni irrealizzabili. Crede che fra breve saremo a Washington e che la nostra bandiera verrà issata sul Campidoglio, come ha detto il vescovo durante l'offertorio. Le ultime dis_grazielo hanno prostrato, 4 ibliotecaGino Bianco ma confida in qualcosa di sconosciuto che ci proteggerà, confida in San Giacomo, nella nobiltà della nostra razza, nella giustizia della nostra causa. Lo sa? Gli altri ridono di lui e lo sbeffeggiano. Dicono che sotto l'uniforme porta una vecchia corazza. Lui non ci bada. Mentre mi parlava sospirava profondamente, guardava il cielo e il mare. È un buon uomo, mio compaesano, viene dalla Mancha. Crede in Dio ed è religioso. È persino un po' poeta. Dicono che durante la notte componga redondillas e che se le reciti da solo, a bassa voce. Ha un culto quasi superstizioso per la sua bandiera. Sicuramente passa le notti vegliando, e comunque nessuno l'ha mai visto dormire. Non pensa anche lei che il portabandiera sia un uomo singolare? - Signor Cappellano - gli dissi - ha certamente notato qualcosa di singolare in quel tipo, che credo peraltro di aver già visto da qualche parte. Come si chiama? - Non lo so - rispose il sacerdote - Non ho avuto modo di vedere il suo nome sul registro, ma sullo zaino ha incise due lettere: "D. Q.". A pochi passi dal punto dove eravamo accampati c'era un precipizio, oltre il quale non si vedeva·no che tenebre. Se si lanciava una pietra, la si sentiva rimbalzare ma non cadere.

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