nunciasse la tanto attesa frase: "Allora mi faccia vedere questa signora". Mio padre si comportò come un pazzo. Prese immediatamente un tassì. Andò dal direttore generale ingiungendogli di dire alla signora Irma di indossare il suo abito azzurro; e il direttore con la sua macchina americana si diresse a Orechovka per prendere la signora Irma che in un'ora si vestì, e poi andò da Pohl, il miglior parrucchiere della Repubblica. Nel frattempo il babbo andò a casa. Prese il suo miglior abito di lana inglese, recandosi quindi dal barbiere Weber in Galleria Alfa. Viveva il suo grande giorno. Alle due del pomeriggio, davanti alla famosa ditta Electrolux, aspettava la macchina americana del direttore e innanzi ad essa c'era mio padre con l'aspetto e l'espressione di un diplomatico inglese, e insieme a lui c'era la signora Irma, in abito celeste chiaro e scarpette di serpente. Mio padre non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. L'autista aprì lo sportello posteriore e il direttore generale si congedò da loro come da una coppia che stesse partendo per il viaggio di nozze. Durante il tragitto il babbo tentò di prendere la mano della signora Irma, ma lei disse: "Dopo, mio caro". Scesero dalla macchina e salirono maestosamente le scale fino allo studio del professore. La signora Irma, pallida, andava lentamente, mio padre sorridendo l'incoraggiava. Giunti alla porta dello studio, egli suonò, ma per un bel pezzo nessuno rispose. Suonò di nuovo e apparve stavolta il professore. Quando vide il babbo, ricordò lo splendido prato, l'incantevole notte e cinguettò: "Ah, è lei, Poppricku!" E poi vedendo la signora Irma rammentò la sua promessa: "Allora mi porta questa signora!" Il babbo aspettò che il professore l'invitasse a entrare, ma questo non avvenne. Il professore si limitava a guardare e guardare, osservava il volto della donna - e sembrava quasi che non potesse credere ai suoi occhi. A un tratto sussurrò pressappoco: "Signora, si giri. Così la potrò vedere anche dall'altro lato". Lei si girò sulle snelle e ben tornite gambe, che finivano nelle scarpine di serpente dai tacchi alti e che mettevano in risalto il suo bel sederino tondo. Con la sua splendida pettinatura ondulata somigliava a una farfalla variopinta che stesse per alzare il volo verso le oscure scale della noiosa Accademia, e sparire. Di botto s'udì un qualcosa che scoppiò come una bomba e che faceva pensare allo strillo di un bambino capriccioso: "Una pupattola simile io non intendo ritrarla a nessun prezzo! No e poi no!" Ridiscesero le scale, con mio padre che sorreggeva la signora Irma in lacrime fino alla Ford parcheggiata dinanzi a quel tempio dell'arte. In macchina finalmente si realizzò il BibliotecaGino Bianco STORIE/PAYEL bramato sogno di mio padre. Ebbe tra le braccia la signora Irma. Ma il sogno fu diverso da come se lo era immaginato: lei singhiozzava disperatamente e lui la consolava. Sentiva il suo seno abbandonato sul proprio petto, toccava i suoi serici capelli, le carezzava le spalle e le sue lacrime gli bagnavano le mani. Ma fu quella la prima e l'ultima volta che così la sostenne; ritornata padrona di sé, la signora Irma non volle più vedere il mio caro padre. Si ricordò soltanto di quella volta che lui aveva mangiato il pollo con le mani; e andò dicendo in giro che non era rimasta sorpresa da quanto era accaduto, poiché da molto tempo aveva una sua personale opinione del livello intellettuale di mio padre, la stessa che doveva avere il professore Nechleba, il quale owiamente non lo poteva soffrire e per questo non li aveva ricevuti. Meglio sarebbe tacere su ciò che fece il direttore generale Koralek. Voleva uccidere mio padre, perché da tempo si era già affrettato a informare tutti i parenti e conoscenti d'Europa e degli Stati Uniti che il professore Nechleba avrebbe ritratto sua moglie. Insomma tra la nostra famiglia e quella del direttore generale Koralek s'instaurò, secondo la terminologia militare, uno stato di guerra e il babbo non fu licenziato in tronco solo grazie al fatto che prima aveva conquistato il titolo di campione del mondo. Del suo infelice amore per la signora Irma mio padre patì a lungo, ma forse la concretezza di quell'averla per lo meno una volta nella vita tenuta tra le braccia valse a mitigare la sua pena. Chi se ne rallegrò, fu la mamma. Si erano avverate le sue parole: il babbo non era riuscito a scalare l'Everest. La nostra dispensa di nuovo si riempì e riprendemmo a navigare benino. Il babbo lasciò da parte i quadri, i tappeti persiani, i cani e i pappagalli, e si dedicò al ramo in cui veramente ci sapeva fare: aspirapolvere e frigoriferi. Un altro a essere soddisfatto fu il professore Nechleba. Di nuovo non dipinse che la sua Lucrezia. Mio padre qualche anno più tardi tornò da lui e gli disse: "Come è bella". Ragion per cui il professore fu lieto di donargliela. Durante la guerra un ubriacone, un SS dagli occhi azzurri e i capelli biondi, la strappò dal muro per poi trinciarla con un pugnale, e questa fu veramente la sua seconda morte. A mio padre vennero allora le lacrime agli occhi: ormai da molto tempo aveva dimenticato la signora Irma e in segreto amava invece Lucrezia. (traduzione dal cèco di Fiammetta Della Seta e Marie Leskovjan) 47
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==